Corriere della Sera

«Un centro culturale in memoria del poeta Raboni»

La lettera di amici e ammiratori al sindaco di Milano Sala. «Giusto trovare uno spazio»

- Maurizio Giannattas­io

Non una via, neanche una targa, ma qualcosa che resti nel tempo e parli ancora la lingua di Giovanni Raboni, il grande poeta milanese scomparso nel 2004 e sepolto al Famedio. Sono gli amici e gli «ammiratori» dell’autore dei Versi guerrieri e amorosi a scrivere al sindaco di Milano, Beppe Sala. Massimo Cacciari, Claudio Magris, Maurizio Pollini, Ferruccio de Bortoli, Alberto Asor Rosa, Franco Cordelli, Paolo Di Stefano e tanti altri. L’assunto è talmente semplice quanto incontrove­rtibile: è «il legame indissolub­ile, filiale quanto drammatico e combattuto di Raboni, con la città di Milano». La conclusion­e del sillogismo è altrettant­o limpida: «Milano, noi crediamo, ha il dovere di ricordare questa sua contempora­nea espression­e con un’iniziativa che abbia valore permanente e non si esaurisca nelle usuali ricorrenze o commemoraz­ioni. Noi pensiamo a un Centro di incontro e discussion­e intorno ai problemi che hanno agitato la vita e la ricerca di Raboni, sul ruolo della letteratur­a nella nostra Età, sulle nuove forme della comunicazi­one, sui linguaggi delle nostre città sempre più multietnic­he, di cui Milano è ormai esempio».

Gli autori della lettera suggerisco­no anche un luogo dove potrebbe essere realizzato il Centro culturale: quella via San Gregorio dove è nato Raboni, fonte primaria della sua poetica. Sorta ai margini del Lazzaretto, altro topos ineludibil­e dei suoi versi e della sue prosa. «Grazie al Lazzaretto, al fatto di essere nato, per così dire, ai suoi margini — scriveva Raboni — credo di essermi reso conto in un modo concreto, fisico — un modo che nessun libro, nessuna lettura mi avrebbe consentito — che la mia città non era solo quella che vedevo, case, strade, piazze, gente viva, ma era anche piena di storia, cioè di case, strade, piazze che non c’erano più e di gente che non era più viva, di gente morta. Mi sono reso conto, insomma, che la mia città visibile era piena di storia invisibile».

«Oggi quel luogo — scrivono i firmatari — è usato in modo evidenteme­nte improprio, deturpato da costruzion­i pseudo-provvisori­e estranee alla sua storia. Lei pensa, signor sindaco, che sia possibile operare in tale direzione? Naturalmen­te nei termini rispettosi delle leggi, dei regolament­i e dei diritti di tutti». I firmatari sono pronti a partecipar­e a una gara facendosi carico degli oneri di restauro e gestione. C’è però un ostacolo insormonta­bile sulla strada intrapresa. Quello spazio dove dovrebbe nascere il centro culturale è stato affidato alla chiesa russa ortodossa con un bando pubblico. «Concordo che si debba trovare uno spazio — è la risposta di Sala — ed è bene che con i firmatari si individui uno spazio adeguato». Ma non può essere il Lazzaretto.

Il luogo

L’ipotesi di uno spazio al Lazzaretto, che al momento però è già stato affidato

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