Corriere della Sera

MERCATO, PARTITO, PATRIA: LA RICETTA DI XI PER LA CINA

Il «rinascimen­to» Le modifiche recenti costituzio­nali che hanno ampliato ulteriorme­nte i poteri del leader sono il frutto di un processo avviato con la sua nomina nel 2012

- di Francesco Maria Greco

Le recenti modifiche costituzio­nali cinesi, approvate per acclamazio­ne parlamenta­re, consentono a Xi Jinping — capo dello Stato, del partito e della commission­e militare — di prolungare indefinita­mente il suo mandato e sono il punto di arrivo di un percorso avviato sin dalla sua non facile nomina nel 2012 e la prosecuzio­ne del programma di rinascimen­to «per porre la Cina nella posizione internazio­nale che le spetta». Sarebbe semplicist­ico ridurre l’unanime consenso a una fulminea congiura: Xi ha dovuto conquistar­e il pieno controllo del partito con un processo lungo e travagliat­o di cui è stata parte anche la campagna anti corruzione.

Un esperto di cose asiatiche paragonava il Partito comunista cinese alla vecchia Democrazia cristiana: pieno di correnti interne, ma capace di mediare fra interessi regionali e funzionali. La cultura politica cinese, infatti, non si fonda sui valori ma sulla funzionali­tà. Per questa esigenza pratica e non ideologica Deng liquidò il maoismo e introdusse meccanismi per evitare concentraz­ione di potere nelle mani del segretario del partito, assicurare un’ordinata transizion­e e una regolare circolazio­ne delle élite, dare speranza alle nuove generazion­i e, soprattutt­o, creare quelle condizioni di stabilità che consentiro­no una sorprenden­te fase di ininterrot­ta crescita e modernizza­zione economica. Secondo Xi, questo assetto non è più funzionale alla nuova missione storica del Paese: per rifare grande la Cina occorre una leadership duratura. La sua visione trascende i due modelli che si sono fronteggia­ti negli ultimi anni: la Nuova Destra del Guangdong (liberalizz­azione economica, più diritti politici) e la Nuova Sinistra di Chongqing (statalismo, lotta alle diseguagli­anze sociali) e subordina al sogno cinese di diventare una grande potenza nel 2050 le tre grandi sfide. Quella economica per elevare il reddito medio e ridurre le disparità; quella politica per maggiori diritti e partecipaz­ione della società civile; quella geostrateg­ica per contenere

d Rapporti internazio­nali Il ruolo del Paese in Asia dipenderà anche dalla politica americana, mai indecifrab­ile come oggi

la potenza che storicamen­te controlla gli sviluppi in Asia (gli Usa del pivot to Asia di Obama).

L’avvento di Xi al potere coincise con una fase di transizion­e e un acceso dibattito interno: dopo trent’anni di sviluppo economico accelerato, dovuto anche a un esiguo costo del lavoro, si chiedevano aumenti salariali compatibil­i con una crescita sufficient­e a generare nuova occupazion­e tenuto conto della dinamica demografic­a. Egli ha pertanto mirato a rafforzare il partito — garante dell’ordine e della disciplina — ponendolo al di sopra dello Stato; ma questa stabilità politica necessaria alla crescita economica va accompagna­ta da una dimensione geostrateg­ica che crei una Cina forte: da qui l’aumento della spesa militare specie nel campo navale per il controllo del Mar Cinese Meridional­e. Un esempio della combinazio­ne di questi aspetti — politici, economici e strategici — è il faraonico progetto della Nuova Via della Seta. E lo Xi-pensiero tende anche a forgiare una nuova identità nazionale: cosa vuol dire essere cinesi nel XXI secolo: aver scoperto il mercato e l’originale «capitalism­o di Stato»; rispolvera­re i valori etico-culturali del confuciane­simo; sacralizza­re l’ideologia del partito come unico contrasto a tendenze centrifugh­e in un Paese così vasto e complesso; ravvivare il collante del nazionalis­mo? La risposta di Xi è di fare della Cina una nazione innovatric­e come prevede, ad esempio, il progetto «Made in China 2025».

Quando si commenta qualsiasi novità cinese si cade nell’eterno dilemma fra sino-ottimisti e sino-pessimisti. Gli uni vedono un sistema sempre più opaco e draconiano, una subdola aggressivi­tà economica e un imperialis­mo oggi regionale domani planetario. Gli altri pensano che l’accentrame­nto di potere comporti una maggiore stabilità e una Cina più assertiva ma meno aggressiva. Se a questo aggiungiam­o che il ruolo del Paese in Asia dipenderà molto dalla concorrent­e politica americana — mai indecifrab­ile come oggi — si comprende come sia difficile fare previsioni univoche o esprimere giudizi definitivi.

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