LA SPAGNA RESISTE AL CAOS CATALANO MA SERVE UN PROGETTO
L’impressione è di assistere ad una recita senza copione, in cui i leader dell’indipendentismo catalano aspettano che succeda qualcosa per poter improvvisare le battute. La decisione della magistratura spagnola di spiccare un mandato di arresto europeo per Carles Puigdemont — accusato di ribellione, sedizione e malversazione — ha così permesso all’ex presidente della Generalitat di dichiararsi un «prigioniero politico». Ma è sbagliato sostenere che vengano processate le idee: si processano i fatti. Una democrazia ha il dovere di difendersi. E se volessimo parlare solo di opinioni, va ribadito che non esistono nazionalismi «positivi» all’interno di un ordine costituzionale condiviso.
Puigdemont e i suoi compagni di avventura non si sono preoccupati, come dicevamo, di scrivere il seguito della loro dichiarazione di indipendenza. Nessuno ha mai saputo veramente che fare. La controffensiva del governo, non sempre misurata, ha strappato il sipario che oscurava la vista di un palcoscenico in cui protagonisti e comparse si sono sempre mossi in modo confuso. Intanto, tenuto fuori dal teatro, il pubblico si è diviso tra simpatia e indifferenza. Nelle altre regioni del Paese ha dimostrato invece una grande capacità di resistere alla sfida.
È chiaro, naturalmente, che anche a Madrid non si deve balbettare. Nei giorni scorsi il segretario socialista Pedro Sánchez ha bloccato le aperture del numero uno dei socialisti catalani, Miquel Iceta. Chiudere non basta, però. Ora bisogna che il premier Mariano Rajoy, il leader di Ciudadanos Albert Rivera e lo stesso Sánchez — come scriveva ieri su El País Javier Ayuso — lavorino ad un progetto politico basato sulla convivenza tra la Catalogna e il resto della Spagna. Sarebbe assurdo perdere altro tempo.