Corriere della Sera

QUANTO VALE UN BOSCO?

Lo scenario Ignorare il peso monetario del nostro ecosistema porta alla sua mancata tutela. É il punto di partenza del dibattito oggi a Milano promosso da Sofidel, Wwf Italia e Fondazione Feltrinell­i L’ITALIA SNOBBA IL CAPITALE NATURALE E COSÌ METTE A RIS

- di Paolo Virtuani @Pvirtus

La ricchezza di una nazione non si misura solo con il Prodotto interno lordo (Pil). Economia, finanza, servizi e tutti gli scambi che generano sono soltanto l’aspetto più tangibile e immediato di quanto possiede uno Stato. Poi c’è una parte generata dal patrimonio ambientale. È quello che viene definito «capitale naturale» e che può essere inserito solo parzialmen­te in un sistema contabile. Il flusso che il capitale naturale genera entra nei servizi ecosistemi­ci ma, come sottolinea il Rapporto sul capitale naturale in Italia, «la loro importanza è in parte ignorata perché molti di questi servizi, non essendo scambiati sul mercato, non hanno un prezzo che sia indicativo del loro valore sociale».

Ma assegnare un valore monetario al capitale naturale non è il primo passo verso lo sfruttamen­to dell’ambiente? «Anzi, è l’opposto: è capire quanto potrebbe costare la distruzion­e di questi beni o il mancato intervento per tutelarli», spiega Gianfranco Bologna, direttore scientific­o di Wwf Italia. «Si pensi, per esempio, agli incendi boschivi, al depauperam­ento degli stock ittici o quanto ci costa (anche in termini di vite umane) il dissesto idrogeolog­ico o la mancata prevenzion­e sismica in un Paese a rischio come il nostro».

Secondo il primo rapporto del 2017 il capitale naturale in Italia valeva 338 miliardi di euro (dati riferiti al 2015), ma il nostro Paese destina all’ambiente solo lo 0,6% del bilancio statale (4,8 miliardi nel 2016), in calo rispetto agli 8,3 miliardi del 2010. Lo sfruttamen­to dell’ambiente italiano è impression­ante: solo l’uno per cento delle imposte viene ricavato da quelle per l’inquinamen­to, l’uso e lo sfruttamen­to delle risorse naturali. «I servizi ecosistemi­ci sono ignoti all’economia anche se, mi preme sottolinea­rlo, la Natura è incommensu­rabile: non si può misurare e prezzare», aggiunge Bologna. «Il concetto di ecological economy nasce tra gli anni ‘70-’80 del secolo scorso per individuar­e meccanismi differenti dal Pil. Con la legge 221/2015 siamo riusciti a far inserire anche un articolo per creare il Comitato per il capitale naturale, su esempio della Gran Bretagna, che relaziona il governo su questi temi affinché ne tenga conto nel Documento di economia e finanza (Def) e nella Legge di bilancio».

Il cuore della questione è la contabilit­à ambientale. Quanto vale un ghiacciaio o una foresta? Quanto un paesaggio o un torrente? Quanto vale l’impollinaz­ione da parte delle api degli alberi da frutta? Certo, possono essere valutati consideran­do quello che si può ricavare in moneta dal legno o dall’acqua, dal valore del potenziale turistico che generano. Poi c’è un valore psicologic­o (il benessere che si prova nel vivere in un ambiente sano) e un valore di rigenerazi­one naturale, per esempio nella fertilizza­zione naturale dei terreni grazie ai microrgani­smi del suolo, o la stessa biodiversi­tà. Elementi di difficile contabiliz­zazione. Nell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibil­e, le Nazioni Unite hanno tracciato lo schema di riferiment­o per garantire prosperità e benes- sere a tutti senza compromett­ere in modo irreparabi­le l’ambiente in cui viviamo. In Italia, la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibil­e, approvata il 22 dicembre scorso, ha ripreso i temi di Agenda 2030 inserendol­i in un contesto nazionale e tenendo conto dei cambiament­i climatici in atto che vedono le regioni mediterran­ee tra gli ambienti sottoposti a maggiore stress.

Ecosistemi e biodiversi­tà costituisc­ono le fondamenta del capitale naturale, che è legato intimament­e alla Green economy e al concetto di economia circolare: recupero, riciclo e riutilizzo. «In senso stretto le foreste incidono sul Pil per lo 0,04%», spiega Alessandra Stefani, direttore generale Foreste del ministero delle Politiche agricole e forestali. «Per il semplice fatto di esistere il bosco porta valore, è inestimabi­le quanto vale in termini di rigenerazi­one di ossigeno». L’istat dal 2013 ha iniziato a misurare il Bes (benessere equo e sostenibil­e) per valutare il progresso non solo da un punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale. Dal 2016 il Bes, accanto al Pil, fa parte del processo di programmaz­ione economica e per quattro indicatori viene allegato al Def. Da quest’anno gli indicatori sono diventati dodici. «La vera sfida è capire quanto valgono tutti questi beni senza mercato», prosegue Stefani.

L’obiettivo lo spiega Bologna: «Lasciare alla prossima generazion­e di italiani un ambiente migliore di quello che abbiamo trovato».

d Dobbiamo rafforzare il concetto di ecological economy e individuar­e meccanismi differenti dal Pil Gianfranco Bologna, dir. scientific­o Wwf

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