La ricchezza sostenibile conta per noi appena il 2%
Il tesoro «invisibile» nei dati pro capite della Banca Mondiale
Quanto vale l’ambiente? L’aria, l’acqua, la terra, le risorse naturali di un territorio e la sua «natura», di cui fanno parte anche le api, gli insetti? C’è un valore monetario capace di esprimere il cosiddetto capitale naturale?
Certo che c’è, anche se è estremamente difficile giungere a una determinazione precisa. Secondo alcuni, addirittura, risulta poco meno che blasfemo considerare un valore economico per tutto quello che è parte del patrimonio in qualche modo «indisponibile» di un territorio, di una nazione, perché alcuni di questi eco-servizi sono alla base stessa della vita. Eppure, la determinazione del capitale naturale — giungere a una stima condivisa — potrebbe essere elemento chiave nella Pubblica amministrazione, specie nel caso delle Amministrazioni locali, chiamate ad esprimersi oltre i rigidi confini delle Valutazioni di impatto ambientale.
La valutazione del capitale naturale si riconduce a una analisi ampia del rapporto costi e benefici e ha dato vita, da un paio d’anni, a un Comitato per il capitale naturale presieduto dal ministro dell’ambiente, di cui fanno parte i rappresentanti di una serie di ministeri, oltre all’anci, la L’origine Al Casale Giannella nell’oasi della Laguna di Orbetello dove tutto è cominciato: un mondo a parte, che è però facilmente raggiungibile, in cui, nel 1984, sono nati i primi campi WWF Banca d’italia, l’istat, l’ispra, il Cnr e l’enea. Il Comitato ha presentato nel febbraio scorso il Secondo rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia, che è uscito quasi contemporaneamente a un’indagine pubblicata dalla Banca Mondiale — e curata da Glenn-marie Lange, Quentin Wodon e Kevin Carey — titolata The changing wealth of nations 2018-Building a sustainable future.
Proprio il nodo della sostenibilità accomuna i due lavori. Sia la cosiddetta sostenibilità «debole» dove la somma dei tre tipi di capitale (fisico, umano e naturale) rimane inalterata, sia nel caso della sostenibilità «forte», dove si analizza il tema della non sostituibilità di alcuni fattori.
Proprio il lavoro della Banca Mondiale ha presentato una interessantissima comparazione tra nazioni, dove l’italia — e soprattutto l’italiano, considerato che le stime elaborate sono considerate pro-capite — esce ridimensionato. Numeri alla mano, la ricchezza complessiva pro capite in Italia ammonta a 427.466 dollari. Di questi 118.055 sono riconducibili a capitale prodotto, 241.350 a capitale umano (quindi in buona sostanza al valore della formazione) e solo 8.619 dollari a capitale naturale (poco più del 2%). Che il Paese sia povero di materie prime, lo impariamo alle elementari. Ma il confronto un po’ preoccupa. In Francia il capitale naturale ammonta a 11.109 dollari, in Grecia addirittura arriva a 12.546 dollari, ma qui forse pesa il ridotto numero di abitanti. Che risultano un fattore anche in Germania, dove a fronte di una ricchezza procapite di 729.064 dollari (641.707 in Francia, 227.925 in Grecia) il capitale naturale si ferma a 7.701 dollari.
Discorso a parte per le grandi potenze extra Ue. Tra queste, anticipando i tempi, inseriamo la Gran Bretagna, che a fronte di una ricchezza pro capite di 647.694 dollari ne ha solo 7.592 riconducibili al capitale naturale. Storia diversa in Cina, dove su 108.172 dollari di ricchezza pro-capite ben 15.133 arrivano dall’ambiente, mentre negli Stati Uniti su una ricchezza totale di 983.280 dollari pro capite sono 23.624 dollari che arrivano dal capitale naturale.
Sorpresi? In Norvegia — poco più di 5 milioni di abitanti — il capitale naturale arriva a 103.184 dollari su totale 1.671.756 dollari. E in Qatar — 2,1 milioni di abitanti — il capitale naturale pro capite su un totale di 1.597.125 dollari arriva a i 660.305 dollari, 76 volte l’italia.
Il rapporto Penalizzati i Paesi più popolosi, dove dominano il capitale umano e quello prodotto