Tutto il popolo di Fabrizio
Per la prima volta nella sua storia la Rai ha ospitato una camera ardente Oltre diecimila persone in fila per l’ultimo saluto a Frizzi Volti noti, politici e tanta gente comune: «Era uno di noi»
Viale Mazzini 14, ore 8 di martedì 27 marzo. Per la prima volta nella sua storia, la sede centrale della Rai ospita una camera ardente, quella di Fabrizio Frizzi. Sono pronte le transenne, si apre alle 10 ma una decina di persone è già lì. Vincenzo Pellegrini, 48 anni, è il primo: è arrivato alle 6.30. Perché? «Perché non dovrei esserci? Frizzi ha accompagnato la mia vita, da quando ero bambino a oggi, ho una mia foto accanto a lui nel 1983. Entrava nelle case sempre con lo stesso sorriso fino a poche sere fa. Era uno di noi».
Era uno di noi. Lo ripetono in tanti. Arrivano a migliaia (alla fine saranno più di diecimila), è il popolo di Frizzi. I vertici Rai hanno trasformato il salone degli Arazzi in uno spazio in penombra: tre grandi foto del conduttore sorridente, un video con immagini di tante trasmissioni, la bara di legno chiaro, quattro mazzi di rose e calle candide, le sedie per chi sosta un po’. L’instancabile, elegante moglie Carlotta Mantovan saluta tutti con calma, attenzione e classe. L’odore dei fiori, appena fuori il salone, è fortissimo. Decine di cuscini, di corone, «Uno mattina», gli «Amici di Raitre», «Alba Parietti», «Pippo Baudo», una scia di affetti umani e professionali.
«Era uno di noi, un parente che arrivava in casa sempre allegro e garbato. Anzi, era co- me un figlio», sussurra Vera Brizzi, signora dai capelli bianchi in cappotto scuro, la buona borghesia romana dipinta in viso. Vicino c’è Luca Cordero di Montezemolo: «Era un grande uomo, uno di noi, sempre disposto a sostenere le campagne di Telethon e a telefonare a ogni vittoria della Ferrari».
L’addio a Frizzi, che molti romani in fila paragonano agli storici funerali di Claudio Villa e di Mario Riva, è l’improvvisa fusione di due mondi: i telespettatori arrivati anche dalla Puglia o dal Nord, i famosi «abbonati Rai» che appunto consideravano Frizzi «uno di noi»; e l’universo dei famosi, abituati al palcoscenico pubblico, la politica, il cinema, la tv, il Potere. Quindi Paolo Gentiloni e Raffaella Carrà («per la prima volta entro alla Rai col cuore rotto dal dolore»), Pippo Baudo, Rosario e Beppe Fiorello con Gianni Letta e Emilio Carelli, Enrico Mentana e la sindaca Virginia Raggi, le presentatrici di una Rai indimenticata, Nicoletta Orsomando e Rosanna Vaudetti, e la ministra Marianna Madia, che si inserisce in silenzio nella fila della folla comune evitando l’ingresso di via Pasubio, indicato dal cerimoniale per motivi di sicurezza per le personalità.
La lista è infinita, ma l’autentico popolo di Frizzi, che lo seguiva a colpi di telecomando, è sul marciapiede di viale Mazzini. C’è un folto gruppo di figuranti, quei non-dipendenti Rai che vivono facendo pubblico nelle trasmissioni e applaudendo a un cenno del regista (30 euro lordi al giorno). Oggi piangono in gruppo: «Anni fa scioperammo per i compensi e Fabrizio fu l’unico a schierarsi con noi, ebbe coraggio». Antonio Ventura è lì perché suo padre Andrea andò in pensione nel 2000 dopo anni e anni di lavoro alla Rai negli studi tv «e Frizzi lo salutò in diretta a sorpresa, nessun altro lo avrebbe fatto». Marzia Caprara, anche lei con i capelli bianchi, sgrana un rosario azzurro e ripete di nuovo «era uno di noi, un amico e un fratello, aveva un dono da Dio, quello della gentilezza , era incapace di essere altezzoso. Ha contribuito a formare una parte della cultura televisiva nazionale». La pensa così anche Giancarlo Leone, per decenni una colonna della dirigenza Rai: «Si considerava a disposizione del servizio pubblico, sapeva affrontare sia i successi che gli insuccessi, tre settimane fa ci eravamo visti ed era ottimista, si sentiva sicuro di superare la malattia perché ce la stava mettendo tutta».
Natalino Molon, fino al 2000 al lavoro nelle Relazioni pubbliche Rai, ricorda un Frizzi «che si comportava con un presidente o un direttore generale esattamente come avrebbe fatto poco dopo con il portiere». Mauro Miccio, ex consigliere di amministrazione Rai: «Non ho mai incontrato un personaggio televisivo così disponibile, mai una polemica». Un ex compagno di classe al san Giuseppe Calasanzio, Gianfranco Pizzillo: «Da ragazzi vedemmo in anteprima Amici miei e riuscimmo a scherzare persino sulla morte nella famosa scena del funerale. Ecco, non lo dimenticherò mai anche per questo».
d Era davvero un grande uomo, sempre pronto a fare una telefonata ad ogni vittoria della Ferrari Montezemolo
d Era un ottimista, si sentiva sicuro di superare la malattia perché ce la stava mettendo tutta Leone