Corriere della Sera

Export di armi L’italia tra i primi 10

- di Danilo Taino Statistics Editor @danilotain­o

Al di là delle analisi geopolitic­he, un modo di vedere con numeri quali sono le tendenze mondiali verso conflitti armati è l’analisi del commercio di armi. Non è ovviamente un sistema di previsione dei prossimi conflitti: indica però quali sono le tendenze e dove possono rivelarsi punti di crisi. Questa settimana, il prestigios­o Sipri (lo Stockholm Internatio­nal Peace Research Institute) ha pubblicato una serie di dati sui trasferime­nti di armamenti. La prima cosa che si nota è che il calo di questo commercio, che era stato forte dalla fine della Guerra Fredda, è da tempo terminato. Dal 2003, i trasferime­nti internazio­nali di armi da guerra aumentano. In particolar­e, nel periodo 2013-2017 è stato superiore del 10% rispetto al 2008-2012. In entrambi i quinquenni, il volume di scambi è aumentato in direzione di Medio Oriente e Asia. I maggiori esportator­i sono gli Stati Uniti, con il 35% dell’intero export globale. Seguono la Russia con il 22%, la Francia al 6,7%, la Germania al 5,8% e la Cina con il 5,7%. L’italia è in posizione numero nove: il 2,5% dell’export mondiale; nel periodo 2013-2017 una crescita del 13% rispetto ai cinque anni precedenti. Notevoli sono i balzi delle esportazio­ni per Israele (55%) e Francia (27%). Più interessan­te è notare dove le armi sono andate, per capire quali Paesi sospettano di avere nel loro orizzonte un conflitto potenziale. Il primo acquirente mondiale è l’india: il 12% del totale. Seguono l’arabia Saudita (10%, rispetto al 3,4% del 2008-2012), l’egitto (4,5% quando era all’1,6% nel quinquenni­o precedente), gli Emirati Arabi Uniti (4,4%), la Cina (4%, in calo dal 5,4%). Una crescita forte di importazio­ni di armi tra i due quinquenni è avvenuta nei Paesi del Golfo: in Arabia Saudita del 225%, in Oman del 655%, in Iraq del 118%, in Kuwait del 488%, in Qatar del 166%, negli Emirati del 51%. Incrementi notevoli si sono registrati anche a Taiwan (261%), in Indonesia (123%), Vietnam (81%), Bangladesh (542%). I numeri non danno il quadro esatto del riarmo dei diversi Paesi, escludono la produzione interna di ciascuno: la Cina, ad esempio, ha in corso un rafforzame­nto militare massiccio ma la sue importazio­ni di armi sono calate del 19%: conta sempre di più sulla produzione domestica. Sono numeri che però raccontano bene i possibili punti di crisi.

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