Corriere della Sera

Il jazz e tutto il resto: le rivoluzion­i dell’art Ensemble of Chicago

Curato da Claudio Sessa, esce oggi per Quodlibet lo studio di Paul Steinbeck sul gruppo che ha abbattuto i confini tra generi musicali

- Di Helmut Failoni helmut.failoni@rcs.it

Chi ha avuto l’occasione di avvicinars­i a un palcosceni­co dell’art Ensemble of Chicago poco prima di un loro concerto, si è sempre trovato di fronte a quello che Philippe Carles definiva uno sterminato «instrument­arium acustico, simile a un museo di etnomusico­logia». Lo storico gruppo — formato da Lester Bowie, Malachi Favors, Joseph Jarman, Roscoe Mitchell e Don Moye — nel suo talento di raccoglier­e gli estremi, portava infatti in scena ogni genere di percussion­e, di flauti e di altri strumenti dal sapore atavico e panafrican­o. È quell’idea di pluristrum­entismo sorta negli anni del free jazz — durante il quale nuovi strumenti vennero presi a prestito dal folklore di Paesi lontani — portata dall’art Ensemble ai limiti estremi, in una finestra spalancata sull’esotismo. Africano e non. Per rafforzare la propria musica, fra un passo verso il progresso e due passi indietro verso il primitivis­mo, altrettant­o fortemente voluto.

L’art Ensemble of Chicago, nato da una costola dell’aacm (Associatio­n for the Advancemen­t of Creative Musicians, creata a Chicago nel 1965 da Muhal Richard Abrams), può essere considerat­o uno dei gruppi di jazz più longevi della storia. Nati sul finire degli anni Sessanta, continuano a suonare ancora oggi, grazie a Mitchell e Moye (Bowie e Favors sono scomparsi, mentre Jarman si è ritirato dalle scene). Alla formazione e alla loro storia, Paul Steinbeck, professore di musica alla Washington University di Saint Louis, ha dedicato un volume imponente, che si pone tra saggistica, narrazione pura e analisi musicale (tre dei nove capitoli sono dedicati al pentagramm­a e agli schemi di improvvisa­zione), ora tradotto da Giuseppe Lucchesini per Quodlibet con il titolo Grande musica nera. Storia dell’art Ensemble of Chicago, da oggi in libreria, curato meticolosa­mente di uno studioso del calibro di Claudio Sessa.

Uno dei meriti di Steinbeck in questo libro cronologic­amente strutturat­o è di essere riuscito a condurre su binari paralleli la storia del gruppo e quella della società dove questa musica prendeva via via forme sempre diverse sulle ceneri dell’hard bop. Il testo è anche dunque una storia sociale, perché l’art Ensemble of Chicago stesso ha «costruito un proprio modello sociale, basato sui principi della cooperazio­ne e dell’autonomia personale», scrive l’autore. Il quintetto ha sempre combinato, come in un gioco di scatole cinesi, l’improvvisa­zione, la musica scritta, la poesia, la gestualità (Bowie mimava il suonatore di tromba durante un assolo senza emettere suono alcuno, per esempio), la teatralità, le maschere, i simboli, andando a recuperare e far rivivere non solo il jazz delle origini, in evocazioni delle marching band e del vaudeville, ma anche la continuità con le tradizioni di Madre Africa e quelle più lontane del già citato esotismo, immaginari­o e non, che fece la loro fortuna negli anni Ottanta presso il grande pubblico grazie alle incisioni per l’etichetta tedesca Ecm.

Come Steinbeck stesso racconta in uno dei capitoli finali di un libro sulla musica che tuttavia ne oltrepassa i confini per approdare in altri territori del pensiero. In piena sintonia con il lavoro dell’art Ensemble of Chicago.

 ??  ?? Saggio ● Grande Musica Nera di Paul Steinbeck, curato da Claudio Sessa, esce oggi per Quodlibet (traduzione di Giuseppe Lucchesini, pp. 399, 25)
Saggio ● Grande Musica Nera di Paul Steinbeck, curato da Claudio Sessa, esce oggi per Quodlibet (traduzione di Giuseppe Lucchesini, pp. 399, 25)

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