Expo e l’appalto per gli alberi Sala prosciolto
La giudice: non sussiste l’abuso d’ufficio Ma sulla Piastra in sette vanno a giudizio
MILANO Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, nel 2013 come commissario Expo fece uso legittimo dei poteri di deroga (riconosciutigli da apposite ordinanze di Palazzo Chigi) allorché non effettuò una gara europea, ma affidò direttamente all’azienda Mantovani una parte della fornitura di «essenze arboree», cioè degli alberi da piantumare sulla «Piastra» fondante tutta l’esposizione. Per la Procura generale di Milano, che nel 2016 tolse l’inchiesta alla ritenuta inerte Procura della Repubblica, l’affidamento diretto aveva procurato un «danno di rilevante gravità» allo Stato e un corrispondente «ingiusto vantaggio patrimoniale» alla Mantovani, costituito dalla differenza tra i 4,3 milioni dell’affidamento diretto e il «di gran lunga inferiore costo» (1,7 milioni) al quale Mantovani fece eseguire l’appalto ai propri subappaltatori: ma ieri in udienza preliminare la giudice Giovanna Campanile ha prosciolto il sindaco di centrosinistra (e l’ex direttore generale Expo, Angelo Paris) «perché il fatto non sussiste», lasciando alla valutazione della Corte dei conti l’eventuale danno erariale.
Per Sala, dopo che i difensori Salvatore Scuto e Stefano Nespor hanno vinto questa battaglia legale a colpi di memorie e contromemorie, resta quindi solo il processo già fissato il 15 maggio: accusa di «falso», in concorso con Paris pure rinviato a giudizio ieri, per la retrodatazione di 13 giorni del cambio in corsa il 30 maggio 2012 di due incompatibili commissari della gara per l’appalto «Piastra».
L’avocazione della Procura generale non è stata tuttavia vana perché ha portato a galla altre vicende: la gip Campanile ha infatti ordinato il processo l’11 ottobre (a Como per un intreccio procedurale) sulla ipotizzata corruzione — con annessi accesso abusivo a sistema informatico, rivelazione di segreto, ricettazione e turbativa d’asta — del progettista della «Piastra», l’allora architetto di Metropolitana milanese Dario Comini, che in cambio di 30.000 euro dietro «incarico simulato» avrebbe anticipato informazioni utili a consentire alla Mantovani spa di Piergiorgio Baita (con il socio veneto Co.ve.co di Franco Morbiolo) di tarare perfettamente la loro offerta tecnica.
Poi, quando la Mantovani vinse con il maxiribasso del 41,8% e seconda arrivò la Pizzarotti, «ambienti collegati alla Regione Lombardia» (presieduta da Roberto Formigoni) avrebbero invitato Baita, presidente della Mantovani, «a farsi da parte»; e, al suo rifiuto, per l’accusa sarebbero passati «a minacciare» ostruzionismi (contestati come turbativa d’asta nel rinvio a giudizio al 7 giugno di Antonio Rognoni, ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde) che «inducevano la Mantovani ad accettare condizioni più gravose non previste dal bando», specie il «raddoppio della fideiussione da 52 a 105 milioni». Per altro verso, Paris viene imputato di abuso d’ufficio con Baita per essersi speso nel procurare alla Mantovani «l’ingiusto vantaggio patrimoniale (con contestuale danno per Expo) di 10,6 milioni tra quanto oggetto di pretesa e quanto effettivamente dovuto nelle “riserve” iscritte», cioè nelle aggiunte di compensi vantate dal costruttore a fronte di richiesti lavori non previsti all’inizio.
La deroga
Per il gip fu usato legittimamente il potere di deroga al codice degli appalti
Il progettista
Processo invece per l’accusa di corruzione al progettista e per le turbative post gara