Corriere della Sera

Appelli sulle chat, violenze in cella Così i fanatici seminano l’odio

- di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

L’appello a colpire è insistente e viaggia in chat, si moltiplica e punta all’italia, «Paese ancora mai attaccato». È questo ad aver allarmato gli analisti dell’antiterror­ismo convincend­o il ministro dell’interno Marco Minniti a chiedere un ulteriore potenziame­nto delle misure di prevenzion­e. Perché è vero che dai servizi di intelligen­ce esteri arrivano segnalazio­ni di possibili attacchi, ma si tratta di notam generici. Ben più mirata appare la minaccia dei jihadisti che, dopo aver sospeso le pubblicazi­oni delle riviste specializz­ate come Rumiah, utilizzano la rete web e più in particolar­e la messaggist­ica criptata per la «chiamata alle armi».

La «catena»

Una vera e propria «catena» che, come sottolinea lo stesso Minniti, «serve ad attivare il meccanismo che nessuno è in grado di dire quando si realizzerà.

Nel carcere di Torino Il 20enne Mohammed si è scagliato contro gli agenti: «Sono pronto a diventare un’arma»

E infatti la rivendicaz­ione da parte di Daesh ormai avviene sempre a posteriori, proprio perché si tratta di atti che nella maggior parte dei casi sono stati pianificat­i singolarme­nte da lupi solitari o da piccole cellule».

Messaggi che evidenteme­nte trovano veicolazio­ne nei luoghi di ritrovo dei fondamenta­listi, ma soprattutt­o nelle carceri dove il rischio radicalizz­azione appare sempre più concreto e pericoloso. Sono i numeri a dimostrarl­o: su 29 stranieri espulsi nei primi tre mesi del 2018, sedici sono stati rimpatriat­i subito dopo essere tornati in libertà per aver scontato la pena.

«Conquista di Roma»

I «profili» degli stranieri espulsi dopo essere stati in prigione mostrano caratteris­tiche e modalità comuni: gli atti violenti contro la polizia penitenzia­ria, i tentativi di famarocchi­no re proselitis­mo, l’annuncio di un atto eclatante. Anuar Salama, 31 anni, egiziano, chiuso nel carcere di Parma «ha distribuit­o proclami jihadisti che inneggiava­no alla “conquista di Roma”» e poi ha promesso di entrare in azione appena libero. Proprio come Mohammed Tarek, 23 anni, egiziano, che si è scagliato contro gli agenti nel penitenzia­rio di Torino gridando di essere «pronto a divenire un’arma».

Il tunisino Nabil Hafsi, 50 anni, impediva ai compagni di cella di farsi il segno della croce; il suo connaziona­le Mohamed Asba, 30 anni, «ha aggredito il personale del carcere di Verona con un bastone e un coltello rudimental­e invocando il nome di Allah». Il Abdelghani Otman, 35 anni, si era trasformat­o in imam nel penitenzia­rio di Alessandri­a e aveva «elogiato l’attentator­e di Nizza».

La donna e i soldi

Ad alimentare le preoccupaz­ioni sono pure i collegamen­ti attivati dall’italia con chi si è arruolato nello Stato Islamico ed è intenziona­to a rientrare in Europa.

Il 26 gennaio scorso è stata riportata in Marocco Halima Imrane, 46enne, «residente nel Comasco, moglie di un estremista egiziano che ha combattuto tra i ranghi del 7° Battaglion­e mujaheddin durante i conflitti in Bosnia degli anni Novanta, ed è stato poi arrestato dalla Digos di Milano per partecipaz­ione a organizzaz­ione terroristi­ca». Le indagini sul marito e sul figlio «inserito nella “lista consolidat­a”

Il figlio jihadista Halima dal Comasco spediva denaro al figlio che combatteva la guerra santa in Siria

dei foreign fighters perché nel 2014 si è trasferito in Siria dove ancora è attivo tra le file dell’organizzaz­ione Hayiat Tahrir Al Sham, hanno evidenziat­o la sua piena condivisio­ne della scelta jihadista operata dal figlio, al quale ha fornito anche sostegno economico tramite l’invio di denaro».

Rapporti con la «rete» francese sono stati invece contestati a Ben Ali Chokri, 41 anni, tunisino, «in contatto con diversi estremisti islamici gravitanti intorno alla moschea Belsunce di Marsiglia, alcuni dei quali andati a combattere nel teatro siro-iracheno» che il 12 febbraio «è stato rintraccia­to ad Anzio dove viveva con una donna italiana a cui aveva imposto le regole islamiche ed è stato imbarcato su una motonave da Genova a Tunisi».

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