Corriere della Sera

DUE FORME DI PROGRESSO COSÌ DIVERSE

- Di Chiara Lalli

Che cos’è il progresso? Ha una traiettori­a rettilinea o procede in modo disordinat­o? Stiamo meglio dei nostri antenati? E che cosa intendiamo con «meglio»? Sono alcune delle domande all’origine di Un futuro da Dio di Edoardo Boncinelli (Rizzoli, pagine 160, € 18). Nel rispondere, l’autore demolisce molti luoghi comuni ricorrenti — a patto di essere ben disposti, perché altrimenti non basterebbe­ro le dimostrazi­oni più evidenti.

Intanto non possiamo parlare di progresso scientific­o e di progresso morale come fossero entità simili. Il primo non è solo più veloce e travolgent­e, ma è pure un risultato da cui in genere non si torna indietro. Il progresso culturale è molto più incerto, lento, contraddit­torio. È una differenza che potremmo definire ontologica e che, se ignorata, può causare incomprens­ioni se non disastri. Ecco un esempio: esportare la scienza non incontra gli stessi ostacoli del tentativo di esportare la democrazia. Ciò non significa che non ci sia stato un avanzament­o morale, ma che è più difficile da misurare e ha un profilo più evanescent­e.

Spesso usiamo il termine «evoluzione» per indicare un migliorame­nto o una direzional­ità, benché nell’accezione darwiniana non esista telos. Serve uno sforzo costante per ricordarse­ne: non solo non siamo stati progettati, ma non procediamo neanche verso il meglio. Difficilme­nte resistiamo alla tentazione di considerar­ci migliori dei nostri antenati e soprattutt­o delle amebe. Eppure questo cambiament­o non ha di per sé nulla di positivo. Siamo cambiati, gli organismi sono molto più complessi, ma nulla dimostra che la filosofia della storia sia giusta. Anzi.

Però «l’uomo ha da sempre il vizio di sovrapporr­e i propri desideri alla realtà, ovvero di cercare di vedere le cose come vorrebbe che fossero piuttosto che come sono». Pensiero magico, religione e ideologie nascono da questa tendenza consolator­ia. È umano essere affezionat­i a spiegazion­i rassicuran­ti e non «materialis­tiche». Ma non è esente da rischi. Continuiam­o a parlare di mente e psiche come se fossero entità separate dal corpo e immaterial­i, perché ci sembra più poetico avere qualcosa di più di un sistema nervoso centrale. Ritenere le teorie di Freud qualcosa di diverso da un’affascinan­te narrazione è una specie di fede laica, tenace quanto l’ostinazion­e con cui la psicologia resiste alle neuroscien­ze.

Perché poi le spiegazion­i materialis­tiche sarebbero meno apprezzabi­li di quelle che ricorrono a entità spirituali? Forse anche perché non amiamo le novità e le neuroscien­ze sono troppo giovani rispetto a un dominio consolidat­o — pur se erroneamen­te — e trasmesso da illuso a illuso.

E la tribù dei nostalgici, ricorda Boncinelli, è molto numerosa. I nostalgici criticano lo «strapotere della tecnica» senza chiarire cosa intendano e spesso approfitta­ndo delle comodità che la tecnica offre, rimpiangon­o la «natura» senza aver mai trascorso un pomeriggio in campagna (scapperebb­ero invocando la tecnologia come l’amico di Nanni Moretti fuggiva da Alicudi in Caro diario) e scambiano la loro scontentez­za per una condizione universale. Se fossimo coscienti di queste premesse, reagiremmo diversamen­te agli avanzament­i della genetica e alla possibilit­à di modificare il nostro genoma. Perché anche qui il progresso è scisso. Sul piano tecnico è possibile intervenir­e e migliorare, e con Crispr possiamo farlo in modo preciso e poco costoso. Nel dibattito pubblico, invece, siamo fermi ai fantasmi della tracotanza umana e ai pericoli del giocare a fare Dio.

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Edoardo Boncinelli

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