Corriere della Sera

Nella Costituzio­ne senza esserlo Il destino ambiguo del Concordato

Nel saggio di Daniele Menozzi (Carocci) la storia di come la Carta regolò i rapporti tra Stato e Chiesa

- Di Roberto Finzi

Non c’è dubbio che tra i «principi fondamenta­li» che reggono la nostra Repubblica racchiusi nei primi dodici articoli della Carta del 1948 (cui Carocci dedica una serie diretta da Pietro Costa e Mariuccia Salvati) il più controvers­o sia stato (in parte continui a essere) l’articolo 7 o meglio, e soprattutt­o, il primo asserto del suo secondo comma. Se, al di là delle sfumature, ogni forza politica e ogni cittadino, poteva ammettere che «lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipenden­ti e sovrani» perplessit­à e opposizion­i nascevano e continuaro­no dalla affermazio­ne che seguiva: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranens­i», firmati, come si sa, da Benito Mussolini e dal cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri l’11 febbraio 1929, regnante Achille Ratti, Papa Pio XI. Sanavano la «questione romana» apertasi con la presa di Roma. Con accordi e norme complicate tra cui due particolar­mente odiose per un Paese che — dopo un decennio di guerre e la doppia occupazion­e nazista e alleata — si era scrollato di dosso la dittatura anche attraverso la Resistenza e stava lavorando non solo al ritorno delle civili libertà ma a una democrazia nuova, repubblica­na come aveva decretato il voto del 2 giugno 1946.

Si trattava dell’asserto che quella cattolica era la religione «di Stato» e, per la sua pervasivit­à, dell’attribuzio­ne degli effetti civili al matrimonio religioso. Con il paradosso che chi riteneva il matrimonio un sacramento poteva, per le norme del diritto canonico, ottenerne la nullità, riconosciu­ta poi dallo Stato e chi invece aveva del matrimonio una concezione puramente civile era destinato a essere legato a vita, indissolub­ilmente, non per diretta conseguenz­a dei Patti, ma per la coincidenz­a nella visione della famiglia tra Chiesa e fascismo. Nel quadro per di più di un diritto di famiglia in cui era sancita una netta subordinaz­ione della donna.

Nella sua ricostruzi­one del formarsi del dettame costitu- zionale e poi dei suoi effetti nella vita democratic­a italiana (Art.7. Costituzio­ne italiana), Daniele Menozzi non nega le conseguenz­e negative del permanere di quelle norme specie nel quindicenn­io successivo alla emanazione della Carta Costituzio­nale. Ci offre però una chiave di lettura della formazione e del senso della norma più articolata, che affonda le sue radici nella complessit­à del problema cattolico nella storia dell’italia unita e soprattutt­o a quel punto della vicenda del nostro Paese.

La Chiesa, lo dimostrera­nno le successive elezioni del 18 aprile 1948, aveva ancora un forte ascendente sulla popolazion­e ed era una Chiesa che, seppure — si vedrà di lì a poco — intimament­e percorsa da interne pulsioni verso il nuovo, era ancora fortemente contraria al mondo moderno e alle sue forme politiche. In particolar­e a quelle di matrice socialista e comunista. Ora, si trattava, in sostanza — spiega Menozzi con precisione e acribia filologica — di attirare, per così dire, la Chiesa verso la accettazio­ne piena di quella democrazia che si andava delineando nel lavoro della Costituent­e, cedendo in via formale alle sue richieste anche se nell’immediato contraddit­torie con quella visione. Protagonis­ta di questa operazione complicata e sottile fu in primis Giuseppe Dossetti che univa alla sua profonda fede cristiana una visione non ierocratic­a della Chiesa, la competenza giuridica del canonista di vaglia, cristallin­e convinzion­i democratic­he, saldi legami con le altre culture politiche formatisi nella Resistenza.

Dossetti trovò una sponda in Palmiro Togliatti, a lungo, e tutt’oggi, accusato di avere, in qualche modo permesso un inquinamen­to della Costituzio­ne con il riconoscim­ento nel suo testo dei famigerati Patti Lateranens­i. L’atteggiame­nto del leader del Pci derivava dal convincime­nto che nella Repubblica dovessero riconoscer­si per davvero tutti gli italiani e pure, dice Menozzi, da consideraz­ioni più immediatam­ente politiche. Mentre stava costruendo il «partito nuovo» guardava alla possibilit­à di una adesione al Pci di cattolici. Così temuta dalla Chiesa pacelliana che nel 1949 il Papa scomuniche­rà i comunisti.

Io aggiungere­i due aspetti. Togliatti era ben consapevol­e di quanto Milovan Gilas nelle sue Conversazi­oni con Stalin ricorda avergli detto il dittatore sovietico: «Questa guerra (…) è diversa da tutte quelle del passato; chiunque occupa un territorio gli impone anche il suo sistema sociale». E infine la lotta per l’egemonia all’interno della sinistra. In quel campo i socialisti, allora sotto la sigla Psiup, erano ancora, seppure non di molto, maggiorita­ri rispetto al Pci.

Per ben intendere la vicenda al quadro manca un tassello. Decisivo. Si tratta della seconda parte del secondo comma dell’articolo 7 che recita: «Le modificazi­oni dei Patti (Lateranens­i), accettate dalle due parti, non richiedono procedimen­to di revisione costituzio­nale». In tal modo si eliminava una delle più forti obiezioni all’inseriment­o dei Patti in Costituzio­ne. Per tale via infatti non venivano «costituzio­nalizzati» ché la loro modifica poteva avvenire per legge ordinaria. L’artefice di questo accorgimen­to essenziale fu Roberto Lucifero, liberale e monarchico.

Così l’articolo, nota Menozzi, «appariva formulato con il concorso di tre diverse famiglie politiche: la democristi­ana, la comunista e la liberale».

La «non costituzio­nalizzazio­ne» dei Patti — in un modo profondame­nte cambiato all’interno e soprattutt­o all’esterno della Chiesa — sarà uno degli elementi che permetterà all’italia l’adozione formale, prima sul terreno parlamenta­re e quindi — con i referendum del 1974 e del 1981 — attraverso la conferma popolare di decisive riforme come il divorzio e l’interruzio­ne volontaria di gravidanza. E del nuovo diritto di famiglia.

I tessitori Dossetti e Togliatti con il liberale Lucifero trovarono la soluzione sancita nell’articolo 7

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Il cardinale Pietro Gasparri con Benito Mussolini dopo la firma dei Patti

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