La sedia sollevata fu il simbolo della ribellione «Una semplice arma da osteria»
Lo sappiamo bene noi del Toro: l’immagine-simbolo del granatismo è la sedia alzata verso il cielo nello stadio di Amsterdam. In panchina c’era Emiliano Mondonico, era il 13 maggio del 1992 quando al Toro di Martin Vasquez, Cravero e Lentini sfuggì sul più bello la Coppa Uefa.
Il tecnico, furibondo per gli errori dell’arbitro a favore dell’ajax e per tre legni colpiti dal Toro, brandì minacciosamente una sedia, sfogando la sua rabbia in un gesto memorabile. L’occasione fu la mancata assegnazione di un rigore per un fallo su Cravero, buttato giù in area dopo un intervento di Frank De Boer. La partita finì 0-0, ma gli olandesi si aggiudicarono la Coppa in virtù del risultato della partita d’andata, finita 2-2.
Da quella sera, quel gesto, quella sedia alzata al cielo sono diventati un coro che i tifosi del Torino cantano dopo ogni colpo di sfortuna, dopo ogni ingiustizia subita dalla loro squadra: «Emiliano alza la sedia, alza la sedia per noi». E fu lo stesso Mondonico a dare un senso al suo gesto: «Quella sedia è il simbolo di chi tifa contro tutto e tutti. È il simbolo di chi non ci sta e reagisce con i mezzi che ha a disposizione. È un simbolo-toro perché una sedia non è un fucile, è un’arma da osteria».
Come può una sedia diventare un simbolo? Negli spiccioli della psicologia, il significato simbolico della sedia è strettamente collegato agli attributi di potere e autorità, e può mettere in evidenza il desiderio di emergere, oppure uso e abuso di autorità. Per noi del Toro, era un gesto contro l’arbitro e l’arbitrio, ma nella storia granata è ora un atto di ribellione, di chi tifa contro quella sovrannaturale sfortuna con cui spesso bisogna fare i conti.
Nel novembre del 2010, in trasferta sotto la Mole alla guida dell’albinoleffe, Mondonico volle che i suoi giocatori visitassero a Superga il monumento al Grande Torino. Per respirare il mito granata e spiegare ai suoi il valore immenso di quella maglia. All’ingresso in campo, poi, non riuscì a trattenere le lacrime: la Maratona lo acclamò e lui ricevette il tributo tra i singhiozzi, tradendo la riservatezza di chi è nato in provincia. Fu l’ultima volta che alzò la sedia. Almeno qui, fra noi indiani.