Corriere della Sera

Calenda: Pd all’opposizion­e, non si ridiscute

I dem tormentati mentre si allarga l’ala dialogante. Lo stop del ministro: non capisco, abbiamo già deciso

- Giuseppe Alberto Falci

ROMA Questa volta la chiusura più netta non arriva da Matteo Renzi ma da Carlo Calenda: «Nessuna discussion­e su un’ipotesi di ingresso al governo sarebbe autolesion­ismo». È questo il senso dell’intervento del ministro allo Sviluppo economico che con il consueto tweet mette in chiaro quale dovrà essere la posizione del Nazareno. «A me risultava che la direzione del Pd avesse espresso con nettezza la linea dell’opposizion­e. Perché occorre ridiscuter­ne mi sfugge. Trovare ogni volta una ragione per spaccarsi è davvero autolesion­ismo». Dello stesso avviso restano le truppe dell’ex segretario Matteo Renzi che ormai ripetono come un mantra la parola «opposizion­e». Non a caso Alessia Morani, parlamenta­re a lui vicinissim­a, avverte le minoranze che «noi siamo alternativ­i agli altri partiti e coalizioni e il voler fare opposizion­e non è un vezzo o un’impuntatur­a. Il centro del dibattito è tutto qui: in questo passaggio decidiamo se il Pd o quello che ne sarà, diventerà una stampella di altri partiti oppure se abbiamo ancora la forza e l’ambizione per essere un partito e rappresent­are i nostri valori».

Con il passare delle ore e l’avvicinars­i delle consultazi­oni al Colle ai piani alti del Nazareno il clima resta agitato. Prende forma, seppure sotto traccia, la cosiddetta corrente «dialogante» che caldeggia un governo con i pentastell­ati per arginare il centrodest­ra. Tuttavia l’eventualit­à circolata nelle ultime ore di un esecutivo PD-M5S guidato da ex presidente della Consulta — ad esempio da Giovanni Maria Flick o da Paolo Grossi — viene esclusa categorica­mente perché, spiega il renziano Michele Anzaldi, «scatenereb­be la rivolta dei nostri elettori, umiliati da idee del genere». Tuttavia alti dirigenti del Nazareno raccontano che il destino del Pd è appeso alla tenuta di un’eventuale alleanze fra centrodest­ra a guida Salvini e Cinque Stelle. «Se salta l’accordo fra la Lega e Di Maio — ragiona un senatore della minoranza — tutto cambia e noi dovremo essere della partita». Prima di cambiare strategia e sostenere un esecutivo si dovranno consumare una serie di passaggi. In particolar­e, sostiene Raffaella Paita, ci dovrà essere una discussion­e in direzione nazionale. Mentre Francesco Boccia, vicino a Michele Emiliano e fin dall’inizio pronto al dialogo con i pentastell­ati, chiarisce: «Se ci sono temi che condividia­mo, perché mai dovremmo chiudere ai Cinque Stelle?».

Il muro renziano Anzaldi: «Un governo tra noi e il Movimento guidato da un tecnico? Scatenereb­be la rivolta dei nostri elettori umiliati da idee del genere»

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