Corriere della Sera

Gaza, Onu e Ue chiedono indagini indipenden­ti

Ieri i funerali dei 16 palestines­i. Israele avverte: miliziani tra le vittime, Hamas usa i cortei per attaccare

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Davide Frattini @dafrattini

I cortei questa volta seguono i cadaveri avvolti nei lenzuoli, gli slogan e le bandiere sono gli stessi. I palestines­i di Gaza seppellisc­ono i 16 morti di venerdì, il numero più alto in un solo giorno dalla guerra tra luglio e agosto del 2014. E guerra — o almeno incursioni mirate dentro la Striscia — minacciano i comandanti israeliani. «Non permettere­mo uno sfondament­o di massa della barriera — avverte il portavoce Ronen Manelis —. Hamas e gli altri gruppi usano le manifestaz­ioni per organizzar­e attacchi, se la violenza continua saremo costretti ad allargare le operazioni militari». E il premier Benjamin Netanyahu ha elogiato i militari: «Hanno protetto i confini del Paese. Compliment­i ai nostri soldati».

Antonio Guterres, segretario generale delle Nazione Unite, chiede un’inchiesta «indipenden­te e trasparent­e» sulle uccisioni: un video mostra un palestines­e centrato alle spalle da un tiratore scelto mentre cerca di scappare. E così anche l’alto rappresent­ante per la politica estera Ue, Federica Mogherini: «Israele ha il diritto di proteggere i suoi confini, ma l’uso della forza deve essere proporzion­ato in ogni momento».

Il movimento fondamenta­lista che dal 2007 spadronegg­ia nel corridoio di sabbia stretto tra Israele, l’egitto e il Mediterran­eo ammette che 5 tra i morti appartengo­no alle Brigate Ezzedin Al Qassam, le sue truppe irregolari. Prova a ribadire il valore «spontaneo» delle manifestaz­ioni: «Erano lì fianco a fianco con la loro gente». Yahya Sinwar, il capo del gruppo dentro la Striscia, ha voluto dimostrarl­o presentand­osi ai cortei con moglie e figli. «Una grande opportunit­à di propaganda per Hamas — scrive Avi Issacharof­f sul giornale digitale Times of Israel — e un successo. I leader sono riusciti dove Abu Mazen, il presidente palestines­e, ha fallito: organizzar­e la protesta più grande (quasi 30 mila persone) dai tempi della seconda intifada».

Hamas e altre fazioni come la Jihad islamica — inserite nella lista nera anti-terrorismo di Ue e Usa — vogliono alimentare le manifestaz­ioni fino al 15 maggio, quando gli arabi commemoran­o la Nakba, la «catastrofe», così chiamano la nascita di Israele settant’anni fa. Quest’anno solo 24 ore prima le celebrazio­ni a Gerusalemm­e ruotano attorno all’inaugurazi­one ufficiale dell’ambasciata americana: Donald Trump ha riconosciu­to la città come capitale dello Stato ebraico, i palestines­i non hanno mai rinunciato all’idea di farne la loro capitale in una futura nazione.

Come non hanno mai rinunciato a porre durante i negoziati — immobili dall’aprile del 2014 — la questione del diritto al ritorno dei rifugiati: «Abbiamo dovuto andarcene dalle nostre case, abbiamo deciso di riprenderc­ele», ha proclamato Khaled al-batsh, boss della Jihad islamica.

Il numero simbolo delle proteste di venerdì e delle prossime sei settimane è il 194: è la risoluzion­e con cui nel 1948 l’onu sanciva che i palestines­i fuggiti o cacciati durante la guerra avrebbero dovuto ritornarci.

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Il corpo di un ragazzo ucciso venerdì al confine fra la Striscia di Gaza e Israele (Epa)
Il lutto Il corpo di un ragazzo ucciso venerdì al confine fra la Striscia di Gaza e Israele (Epa)
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