«La mia Pasqua con quel finto capretto al forno»
Io, scugnizzo del 1940, nato e vissuto in una Napoli distrutta dai bombardamenti e umiliata dalla miseria più nera, rivivo i miei primi anni di vita nel ricordo di quel periodo difficile ma ricco di una umanità che oggi stento a trovare. È una vergogna sapere di tonnellate di cibo buttate nella spazzatura! Questo mi fa ricordare gli stenti di noi bambini d’allora a cominciare dal desiderio di un pezzo di pane, dico pane, non una porzione di timballo di maccheroni o un pollo arrosto o una fetta di torta. Ma una delle pietanze più desiderate era «il finto capretto al forno»: patate, sugna, aglio, cipolle, rosmarino, sale e pepe… e niente capretto. Perché c’era tanta miseria, vero, ma c’era anche più famiglia, semplicità, rispetto ed educazione. Si dava il giusto valore a una stretta di mano o a una promessa. Poi è venuto un progresso che non abbiamo saputo gestire. Ed oggi ne paghiamo le conseguenze! Quel finto capretto con patate al forno preparato da tante mamme era un piatto povero per poveri veri: mancavano i beni di prima necessità e i mezzi economici per festeggiare la Santa Pasqua con una teglia di capretto con patate ma, di certo, era una Pasqua vera, ed anche un poco magica, condita con l’armonia e la gioia che tante mamme, come la mia, riuscivano a creare intorno al tavolo dove si festeggiava davvero Cristo Risorto e, in più, non si sacrificava nessun agnello.
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