Corriere della Sera

«La mia Pasqua con quel finto capretto al forno»

- Raffaele Pisani

Io, scugnizzo del 1940, nato e vissuto in una Napoli distrutta dai bombardame­nti e umiliata dalla miseria più nera, rivivo i miei primi anni di vita nel ricordo di quel periodo difficile ma ricco di una umanità che oggi stento a trovare. È una vergogna sapere di tonnellate di cibo buttate nella spazzatura! Questo mi fa ricordare gli stenti di noi bambini d’allora a cominciare dal desiderio di un pezzo di pane, dico pane, non una porzione di timballo di maccheroni o un pollo arrosto o una fetta di torta. Ma una delle pietanze più desiderate era «il finto capretto al forno»: patate, sugna, aglio, cipolle, rosmarino, sale e pepe… e niente capretto. Perché c’era tanta miseria, vero, ma c’era anche più famiglia, semplicità, rispetto ed educazione. Si dava il giusto valore a una stretta di mano o a una promessa. Poi è venuto un progresso che non abbiamo saputo gestire. Ed oggi ne paghiamo le conseguenz­e! Quel finto capretto con patate al forno preparato da tante mamme era un piatto povero per poveri veri: mancavano i beni di prima necessità e i mezzi economici per festeggiar­e la Santa Pasqua con una teglia di capretto con patate ma, di certo, era una Pasqua vera, ed anche un poco magica, condita con l’armonia e la gioia che tante mamme, come la mia, riuscivano a creare intorno al tavolo dove si festeggiav­a davvero Cristo Risorto e, in più, non si sacrificav­a nessun agnello.

Ogni domenica pubblichia­mo il racconto breve — reale o di fantasia — scritto da un lettore

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