Corriere della Sera

Troppi diritti fanno male all’italia

Alessandro Barbano indaga il declino del Paese: merito e doveri hanno perso valore

- di Carlo Bordoni

«La malattia dei diritti spiega il declino italiano». L’indagine di Alessandro Barbano, direttore de «Il Mattino» di Napoli, parte da qui. Il suo libro, Troppi diritti. L’italia tradita dalla libertà (Mondadori), è un’analisi lucida di una condizione di degrado culturale e politico in cui ha perso valore il merito, in favore di molti diritti senza doveri.

Quando «i diritti diventano meri poteri», infatti, appare giusto tutto ciò che è possibile. I diritti prevalgono sui doveri, sostituiti da crescenti pretese soggettive che arrivano ad offuscare gli obblighi di ogni cittadino, considerat­i persino antidemocr­atici: è opinione comune che la meritocraz­ia sia in contrasto con la democrazia.

Partendo da una lettura scorretta della Costituzio­ne, osserva Barbano, si fa largo la possibilit­à di ottenere una libertà sconfinata, pretendend­o sempre nuovi diritti, finora non contemplat­i dalla legge o dalle consuetudi­ni.

Ciò comporta una perdita di autorità, che non si limita all’indebolime­nto della figura paterna, ma coinvolge l’intero sistema dei valori e lo svilisce. L’assenza di valutazion­e sembra cancellare le differenze, ma in realtà le esalta. Compiacere i desideri altrui per ottenerne il consenso è alla base di ogni populismo e non è un caso che i movimenti di quel genere riscuotano oggi tanto favore.

Per Barbano la nuova categoria del «dirittismo» è figlia di una sinistra orfana di un’ideologia autorevole e perciò condannata a ricercare altrove forme di rassicuraz­ione collettiva. Il richiamo ai diritti è un catalizzat­ore di consensi, capace di sollevare l’indignazio­ne pubblica e richiamare princìpi etici apparentem­ente indiscutib­ili, dietro cui si nascondono interessi non certo universali.

Il primo sintomo è la crisi della delega, che sta alla base della sovranità politica e della democrazia parlamenta­re, nella quale i rappresent­anti dei cittadini sono eletti senza vincolo di mandato. Alla delega si è sostituita la suggestion­e della democrazia diretta e dell’autodeterm­inazione, dove «uno vale uno» ed emerge non tanto chi ha maggiore merito e maggiore competenza, ma chi si propone, sa destreggia­rsi meglio all’interno del gruppo e raccoglie più like.

La massa prevale ideologica­mente, benlezze ché priva di un’idea portante, che non sia quella di protagonis­mo. Non più una massa oppressa dallo Stato autoritari­o, abituata a obbedire a una comunicazi­one univoca, ma svincolata da ogni potere, che vaga senza direzione in un universo liquido.

Anche le scienze sociali hanno la loro parte di responsabi­lità. «La sociologia — scrive Barbano — che ha rinunciato a essere pensiero critico e si è ridotta a “valutazion­e”, ha finito per soggiacere a poteri che la usano nel peggiore dei modi». In realtà è proprio perché la sociologia moderna ha rinunciato a essere valutativa che ha tralasciat­o il merito. La sociologia che ha prevalso finora seguiva l’impostazio­ne fornita da Max Weber: l’esclusione di ogni valutazion­e e di giudizio di merito, nell’assoluto convincime­nto che solo l’obiettivit­à dell’osservator­e (non implicato nel processo) possa garantire la scientific­ità dei risultati.

Un proposito in buona fede, che però ha prodotto una scienza preda facile di poteri occulti e di abili manipolato­ri politici. Rinunciand­o di fatto — come ha scritto Luciano Gallino in uno dei suoi ultimi lavori — proprio allo «spirito critico». Mancanza a cui ha cercato di porre rimedio Zygmunt Bauman, l’ultimo grande sociologo della modernità, che conclude la secolare impostazio­ne weberiana, riconducen­do la sociologia alla sua originale matrice, richiamata da Barbano, di critica della società.

La denuncia appassiona­ta di questo libro non risparmia quegli «accademici votati alla supremazia di un’élite che maschera, dietro la censura delle manchevo- altrui, una sottile vocazione antidemocr­atica». L’obiettivo «è quello di indebolire la politica, consolidan­do un movimento civile trasversal­e ai partiti e portatore di una precisa visione della società». Una società — è la conclusion­e — a cui manca il riferiment­o a una sovranità indiscussa.

Di fronte a questo sfaldament­o generalizz­ato, Alessandro Barbano auspica il recupero della sovranità perduta. In effetti il rifiuto dell’idea stessa di sovranità è uno dei tratti distintivi di una modernità in declino. È infatti sempre più difficile ricondurre la tecnica sotto il dominio della politica. La tecnica innovativa sfugge ai controlli e si presta a essere cavalcata dai movimenti populisti che la gestiscono irresponsa­bilmente, modificand­o e contraddic­endo finalità e posizioni di principio, secondo la ben nota modalità di ogni social: vivere momento per momento, senza memoria né coerenza.

Atto d’accusa Secondo Barbano la nuova categoria del «dirittismo» è anche figlia di una sinistra orfana di un’ideologia autorevole

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