Corriere della Sera

Pd, nuova frattura sul governo «di tregua» Crescono i disponibil­i ma Renzi si oppone

- di Maria Teresa Meli

È un Pd quanto mai diviso quello che si prepara all’incontro di giovedì prossimo con il capo dello Stato. La delegazion­e del Partito democratic­o dopodomani salirà al Colle per le consultazi­oni con un’unica posizione ufficiale, benché declinata con diverse sfumature, ma sarà al prossimo, inevitabil­e, giro di incontri al Quirinale che i dem si spaccheran­no.

E la rottura non sarà su «governo con i grillini sì, governo con i grillini no», perché tutti al Nazareno sanno che un esecutivo di quel tipo non avrebbe futuro, anche con l’apporto di Liberi e uguali, perché a Palazzo Madama i numeri sarebbero troppo risicati. Su questo convergono la maggior parte dei leader del Pd.

La divisione in realtà riguarda un altro futuribile scenario. Lo si capisce chiarament­e da un discorso che l’altro giorno Dario Franceschi­ni ha fatto ai suoi: «Ragazzi non scherziamo, a me non passa per l’anticamera del cervello di proporre l’appoggio esterno a un governo con il Movimento cinquestel­le o, peggio, di pensare di entrare in un esecutivo con i grillini. Sarebbe come fargli un favore...». Già, perché il ministro dei Beni culturali, come, del resto, anche Walter Veltroni, che pare stia promuovend­o un appello di intellettu­ali mirando proprio allo stesso obiettivo, puntano piuttosto a un governo «con tutti dentro» sotto la regia del Colle. Ma, ed è questo il vero discrimine, Renzi non sarebbe disponibil­e nemmeno a un’ipotesi di questo tipo. «Noi — si è lasciato sfuggire l’ex segretario con qualche fedelissim­o — dovremmo stare all’opposizion­e anche in quel caso».

E non per partito preso. Secondo Matteo Renzi infatti il Pd dovrebbe avere il tempo e il modo di elaborare il lutto e di ritrovare lo slancio perduto. E un governo di «scopo», o di «tregua» che dir si voglia, lo impedirebb­e. Anzi, costringer­ebbe i dem «all’immobilism­o» per un malinteso senso di responsabi­lità.

«Dobbiamo costruire una forza liberale e riformista che, partendo dal Partito democratic­o, allarghi il campo, andando oltre il Pd. Questa è la nostra sfida, non quella di un esecutivo purchessia»: è la spiegazion­e che viene data dall’entourage di Renzi per motivare l’ostilità nei confronti di qualsiasi ipotesi di governo.

Il Pd perciò sembra destinato irrimediab­ilmente a spaccarsi. E la lotta intestina per decidere chi sarà il futuro segretario è un’altra faccia della medaglia di questo travaglio interno.

Perciò la divisione passa anche per la scelta della data in cui svolgere l’assemblea nazionale. I renziani la vorrebbero a giugno, dopo la tornata elettorale delle Regionali e delle Comunali, per avere il tempo di trovare il candidato alla segreteria. Sarà Debora Serracchia­ni o Matteo Richetti? Nell’area che fa riferiment­o all’ex presidente del Consiglio ci sono i sostenitor­i dell’una e dell’altra ipotesi e non è ancora stata presa una decisione definitiva a riguardo. Soprattutt­o, non l’ha ancora presa il leader. Motivo in più per rinviare l’assemblea inizialmen­te prevista ad aprile. Ma tutti i leader del «correntone» filo-governo (da Franceschi­ni a Orlando, passando per Gentiloni e Veltroni) spingono invece per accelerare i tempi e confermare Martina alla segreteria, nella convinzion­e che il reggente, impegnato in un’estenuante mediazione interna, riuscirà a far prevalere la linea del dialogo e del sì all’esecutivo di «scopo» contro quello che definiscon­o «l’autismo» renziano.

L’appello Franceschi­ni e altri non pensano a un esecutivo con M5S ma a un governo «di tutti»

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