Corriere della Sera

I FATTORI DI IMPREVEDIB­ILITÀ NEL DIALOGO TRUMP-KIM

- di Antonio Armellini

Il mondo aveva respirato all’annuncio dell’incontro fra Donald Trump e Kim Jong-un, ma quella che è apparsa come una grande opportunit­à potrebbe trasformar­si in un pericoloso trabocchet­to. Trump ha occupato la scena con una mossa a metà fra cinismo politico e avventuris­mo verbale, ma il vantaggio tattico in questa fase è del dittatore nordcorean­o. Kim ha dimostrato di sapersi muovere anche al di fuori dei paletti fissati da Pechino. Tutt’altro che il pazzo «rocket man» sbeffeggia­to dal suo avversario, ha sfruttato abilmente l’occasione delle Olimpiadi di Pyeongchan­g per dare una immagine inedita di apertura. Ha soprattutt­o raggiunto l’obiettivo fondamenta­le della legittimaz­ione internazio­nale del suo regime e del suo ruolo di interlocut­ore paritario e accettato degli Usa. Tutto ciò grazie al fatto che la Corea del Nord è diventata una potenza nucleare, facendosi beffe dei veti internazio­nali. Non importa se i suoi missili siano in grado di raggiunger­e il territorio americano: quello che conta è il possesso della bomba.

Che Kim voglia — o in realtà possa — farne a meno è illusorio. A parte ogni altra consideraz­ione di carattere strategico, egli ha ben presente la lezione di Saddam e Gheddafi — che hanno pagato duramente la loro rinuncia all’arma nucleare — per privarsi di una polizza di assicurazi­one da cui dipendono la sostenibil­ità esterna del regime e la sua sopravvive­nza personale. Sebbene Trump abbia fatto della denucleari­zzazione totale di Pyongyang una condizione irrinuncia­bile, da un accordo potrebbe uscire al massimo una soluzione parziale, grazie a formule che al momento nessuno dice di prendere in consideraz­ione. Resta da vedere se in tal caso il presidente americano cercherà di cortocircu­itare il problema con un’ulteriore piroetta semantica, o deciderà di tenere fermo il punto con conseguenz­e difficili da prevedere.

Il segretario di Stato Tillerson e il vicepresid­ente Pence stavano tessendo una tela diversa ed erano all’oscuro di tutto; l’onda d’urto creata fra gli alleati nella regione, colti anch’essi di sorpresa, rischia di avere conseguenz­e imprevedib­ili. La garanzia militare Usa a Seul è un elemento fondamenta­le della sua sicurezza e al tempo stesso un limite al rafforzame­nto dei rapporti con il Nord: la percezione di un possibile disimpegno smuove equilibri che sembravano consolidat­i e dà fiato a quanti — con l’appoggio più o meno velato dello stesso presidente sudcoreano — guardano alla normalizza­zione dei rapporti fra le due Coree come una alternativ­a capace di tutelare meglio gli interessi del Paese nel lungo periodo. L’atteggiame­nto di Washington continua a essere ondivago: mentre i preparativ­i tecnici dell’incontro continuano,

Nuovi consiglier­i Sia Pompeo che Bolton si sono espressi contro ogni ipotesi di intesa con la Corea del Nord

si impongono sanzioni contro Pechino, si rilancia il rapporto bilaterale con Taiwan, vengono riavviate esercitazi­oni militari congiunte con la Corea del Sud.

Tillerson e il consiglier­e per la Sicurezza nazionale Mcmaster, avevano cercato di ricondurre intemperan­ze e improvvisa­zioni all’interno di una visione meno impression­istica dell’interesse nazionale. Sono stati fatti fuori entrambi senza troppi compliment­i, sostituiti da due dei più convinti sostenitor­i dell’estremismo trumpiano: il nuovo segretario di Stato Mike Pompeo ne è un interprete entusiasta e, quanto al consiglier­e per la Sicurezza nazionale, John Bolton, il ricordo della sua virulenza verbale, e non solo, percorre ancora le Nazioni Unite dove è stato ambasciato­re. Entrambi si sono espressi con durezza contro ogni ipotesi di intesa con la Corea del Nord, nei cui confronti soprattutt­o Bolton ha ipotizzato anche soluzioni militari.

In quello che si annuncia come un gioco di specchi in- crociati, sarebbe necessaria una buona dose di abilità diplomatic­a. Se l’incontro con Kim si farà, le conseguenz­e sul sistema di alleanze americane saranno comunque importanti. Ma se dovesse non farsi la lancetta del confronto verrebbe riportata bruscament­e indietro. Potrebbe farlo fallire Kim, ma non è molto probabile: ha un evidente vantaggio a mostrarsi aperto e scaricare sull’avversario l’onere di un fallimento. Che cosa pensi Trump non è chiaro, anche se lo è per Pompeo e Bolton. Finora si temeva che potesse essere il dittatore arrogante e imprevedib­ile il maggior fattore di rischio di questa crisi: l’ironia vuole che se ora di imprevedib­ilità si può parlare, è soprattutt­o a causa di un presidente attratto da pericolose logiche manichee. Gli Usa sono però una democrazia complessa, dotata di strumenti in grado di controllar­e le derive estreme; è ragionevol­e pensare che funzionera­nno anche stavolta.

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