I FATTORI DI IMPREVEDIBILITÀ NEL DIALOGO TRUMP-KIM
Il mondo aveva respirato all’annuncio dell’incontro fra Donald Trump e Kim Jong-un, ma quella che è apparsa come una grande opportunità potrebbe trasformarsi in un pericoloso trabocchetto. Trump ha occupato la scena con una mossa a metà fra cinismo politico e avventurismo verbale, ma il vantaggio tattico in questa fase è del dittatore nordcoreano. Kim ha dimostrato di sapersi muovere anche al di fuori dei paletti fissati da Pechino. Tutt’altro che il pazzo «rocket man» sbeffeggiato dal suo avversario, ha sfruttato abilmente l’occasione delle Olimpiadi di Pyeongchang per dare una immagine inedita di apertura. Ha soprattutto raggiunto l’obiettivo fondamentale della legittimazione internazionale del suo regime e del suo ruolo di interlocutore paritario e accettato degli Usa. Tutto ciò grazie al fatto che la Corea del Nord è diventata una potenza nucleare, facendosi beffe dei veti internazionali. Non importa se i suoi missili siano in grado di raggiungere il territorio americano: quello che conta è il possesso della bomba.
Che Kim voglia — o in realtà possa — farne a meno è illusorio. A parte ogni altra considerazione di carattere strategico, egli ha ben presente la lezione di Saddam e Gheddafi — che hanno pagato duramente la loro rinuncia all’arma nucleare — per privarsi di una polizza di assicurazione da cui dipendono la sostenibilità esterna del regime e la sua sopravvivenza personale. Sebbene Trump abbia fatto della denuclearizzazione totale di Pyongyang una condizione irrinunciabile, da un accordo potrebbe uscire al massimo una soluzione parziale, grazie a formule che al momento nessuno dice di prendere in considerazione. Resta da vedere se in tal caso il presidente americano cercherà di cortocircuitare il problema con un’ulteriore piroetta semantica, o deciderà di tenere fermo il punto con conseguenze difficili da prevedere.
Il segretario di Stato Tillerson e il vicepresidente Pence stavano tessendo una tela diversa ed erano all’oscuro di tutto; l’onda d’urto creata fra gli alleati nella regione, colti anch’essi di sorpresa, rischia di avere conseguenze imprevedibili. La garanzia militare Usa a Seul è un elemento fondamentale della sua sicurezza e al tempo stesso un limite al rafforzamento dei rapporti con il Nord: la percezione di un possibile disimpegno smuove equilibri che sembravano consolidati e dà fiato a quanti — con l’appoggio più o meno velato dello stesso presidente sudcoreano — guardano alla normalizzazione dei rapporti fra le due Coree come una alternativa capace di tutelare meglio gli interessi del Paese nel lungo periodo. L’atteggiamento di Washington continua a essere ondivago: mentre i preparativi tecnici dell’incontro continuano,
Nuovi consiglieri Sia Pompeo che Bolton si sono espressi contro ogni ipotesi di intesa con la Corea del Nord
si impongono sanzioni contro Pechino, si rilancia il rapporto bilaterale con Taiwan, vengono riavviate esercitazioni militari congiunte con la Corea del Sud.
Tillerson e il consigliere per la Sicurezza nazionale Mcmaster, avevano cercato di ricondurre intemperanze e improvvisazioni all’interno di una visione meno impressionistica dell’interesse nazionale. Sono stati fatti fuori entrambi senza troppi complimenti, sostituiti da due dei più convinti sostenitori dell’estremismo trumpiano: il nuovo segretario di Stato Mike Pompeo ne è un interprete entusiasta e, quanto al consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, il ricordo della sua virulenza verbale, e non solo, percorre ancora le Nazioni Unite dove è stato ambasciatore. Entrambi si sono espressi con durezza contro ogni ipotesi di intesa con la Corea del Nord, nei cui confronti soprattutto Bolton ha ipotizzato anche soluzioni militari.
In quello che si annuncia come un gioco di specchi in- crociati, sarebbe necessaria una buona dose di abilità diplomatica. Se l’incontro con Kim si farà, le conseguenze sul sistema di alleanze americane saranno comunque importanti. Ma se dovesse non farsi la lancetta del confronto verrebbe riportata bruscamente indietro. Potrebbe farlo fallire Kim, ma non è molto probabile: ha un evidente vantaggio a mostrarsi aperto e scaricare sull’avversario l’onere di un fallimento. Che cosa pensi Trump non è chiaro, anche se lo è per Pompeo e Bolton. Finora si temeva che potesse essere il dittatore arrogante e imprevedibile il maggior fattore di rischio di questa crisi: l’ironia vuole che se ora di imprevedibilità si può parlare, è soprattutto a causa di un presidente attratto da pericolose logiche manichee. Gli Usa sono però una democrazia complessa, dotata di strumenti in grado di controllare le derive estreme; è ragionevole pensare che funzioneranno anche stavolta.