Un mini Def a Bruxelles
Ogni anno a primavera l’italia compila il Documento di economia e finanza (Def), un documento ufficiale che riassume dati e stime su economia e conti pubblici. Le valutazioni contenute nel Def sono la base delle previsioni di primavera della Commissione europea che servono all’europa per valutare la sostenibilità delle politiche dei singoli Paesi. L’anno scorso il Def si componeva di vari volumi e appendici per un totale di 522 pagine che descrivevano in dettaglio il cronoprogramma delle riforme in via di attuazione. Per il nostro Paese però questo è un anno speciale. Dopo le elezioni del 4 marzo, le consultazioni e i negoziati che porteranno alla formazione di un governo sono solo in una fase preliminare e hanno una durata incerta. Il governo Gentiloni ha già dato le dimissioni e per ora non c’è ancora un nuovo esecutivo. E così si discute su cosa scrivere nel Def e soprattutto su chi debba scriverlo. Date le circostanze, si può pensare di spedire a Bruxelles un mini Def, un documento di poche pagine, ben più magro di quello degli anni scorsi. Pochi numeri e scarni commenti che documentino lo stato attuale dei conti: una crescita vicina all’1,5%, un’inflazione vicina all’1% e un deficit vicino al 2% in calo verso lo zero. Proiettando questi numeri nel tempo il rapporto debito-pil — oggi stabilizzato al 132% — potrebbe scendere in modo rilevante da qui alla fine della legislatura. Dopodiché nulla vieterebbe al Parlamento di apportare cambiamenti anche sostanziali al quadro qui abbozzato. La Lega e il M5s hanno fretta di mostrare che la musica è cambiata. Ed è sacrosanto che il nuovo governo predisponga il nuovo quadro programmatico della politica italiana. Ma perché non farlo con calma nei prossimi mesi a partire da un quadro relativamente delineato dei conti pubblici che tranquillizzi Bruxelles e i mercati?