Il vertice per la decisione martedì scorso a Palazzo Chigi Poi l’operazione «tutela Italia»
Il vertice decisivo si è tenuto a palazzo Chigi martedì. Presenti il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda e il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. La partita che si sta giocando intorno a Tim riguarda le possibilità che l’italia ha di restare centrale nel mondo delle telecomunicazioni. Per questo la battaglia tra il fondo Elliott e il patron di Vivendi, Vincent Bolloré, ha spinto il governo a scendere in campo. La Cassa Depositi potrebbe rilevare fino al 5%, una quota che potrebbe rivelarsi decisiva per l’assemblea Tim e per determinare i nuovi equilibri azionari del gruppo. Il motivo? Entro il 9 aprile andranno presentate le liste che dovranno confrontarsi in assemblea il 4 maggio. E proprio da qui nasce la preoccupazione dell’esecutivo e l’intervento di Cdp: può l’italia essere teatro di scorribande da parte degli investitori internazionali? Certo la capacità di attrarre investimenti è un elemento decisivo per la crescita del Paese e la loro promozione è uno dei punti chiave, ma bisogna vedere quanto questi investimenti possano effettivamente dare beneficio alla crescita. A un certo punto sembrava che Elliott e Assogestioni potessero presentare una lista comune, ma così non è stato. Sembrerebbe che a non favorire la composizione di un elenco unitario siano stati Generali e l’unicredit. Una sorta di fronte francese al fianco di Bolloré, primo azionista singolo di Tim con circa il 24% . Elliott non ha fatto mistero di poter in futuro anche conferire la sua quota alla Cassa Depositi, per questo il governo ha deciso di accelerare la sua decisione e dar vita a un’operazione per la tutela del sistema Italia. Si tratta di un primo intervento di questo genere per la Cassa, che si trova anche in un momento di passaggio, dal momento che è previsto il rinnovo dei vertici.
Questa operazione dunque non sembra avere solo il consenso del governo ma un ampio consenso politico, con un ruolo particolarmente rilevante giocato da parte del M5S e del deputato Maurizio Buffagni. E nella partita, un ruolo centrale lo hanno giocato anche le fondazioni, rappresentate da Giuseppe Guzzetti.
Il finanziere francese si troverà comunque davanti un fronte politico più compatto di quanto immaginava. Proprio ieri lo stesso Buffagni, in un post su Facebook, è stato chiaro al proposito. Oltre a reclamare un ruolo nei rinnovi delle partecipate statali (in primis Saipem: «Rinnovare in solitaria...è un segnale negativo e non condiviso che costituisce un precedente negativo») ha scritto: «Il nostro Stato deve tornare a farsi rispettare dai cugini d’oltralpe...; per questo è fondamentale riprendere, da mano straniera, la nostra infrastruttura tecnologica e di telecomunicazioni perché l’interesse pubblico è sovrano in un’italia a 5 stelle». E anche Davide Casaleggio, in un post del 30 marzo (rispondeva a un docente della Bocconi sul finanziamento all’innovazione in Italia) concludeva: «Auspico...che possano essere le aziende oggi presenti in Italia a espandersi acquisendo quelle estere e non il contrario come purtroppo sempre più spesso sta accadendo portando come conseguenza anche la delocalizzazione delle nostre imprese».
L’intreccio con la partita nomine
I vertici della Cassa Depositi (e quelli di Saipem) sono in scadenza. Il ruolo nella partita di Buffagni e le parole di Casaleggio