La strategia del contratto
Tatticamente, il Movimento Cinque Stelle ha acquisito un vantaggio. Luigi Di Maio, candidato a Palazzo Chigi, sta cercando di presentarsi come il nuovo perno dello schieramento politico italiano; e di trasformare il suo trasversalismo in una dote, più che in un’ambiguità e in un elemento di debolezza.
La rivendicazione di assoluta fedeltà all’occidente su alleanze militari, monetarie e europee, è stata la prima dichiarazione resa dopo il colloquio di ieri con il capo dello Stato, Sergio Mattarella. Si tratta di un ancoraggio recente, dopo contraddizioni e tentennamenti; ribadito al Quirinale sull’altare delle ambizioni di guidare il prossimo governo. L’idea di un «contratto alla tedesca» che dovrebbe ricordare quello tra Cdu e Spd in Germania, rivolto a «tutto il Pd» e alla Lega, riflette la stessa strategia: anche se trasuda tatticismo. I potenziali alleati vengono equiparati sapendo che non è così. L’ equidistanza di Di Maio tende a dimostrare l’impossibilità di un’intesa col Pd. E punta al dialogo col Carroccio. Il Movimento ritiene suo interlocutore solo Matteo Salvini, ma non riconosce la coalizione con Silvio Berlusconi e Fratelli d’italia. Suona come una provocazione, facilitata però dalla decisione di Lega, FI e FDI di andare separati alle consultazioni; e dai giudizi contrastanti sui Cinque Stelle.
Il capo leghista è stato l’unico a esprimere l’esigenza di coinvolgere i seguaci di Beppe Grillo. L’insistenza sua e di Di Maio su un esecutivo che rifletta la volontà popolare, sembra dar corpo alla prospettiva di una «diarchia» tra le due forze che hanno avuto successo il 4 marzo. L’idea di un contratto invece che di un’alleanza, è l’abile trovata lessicale per spoliticizzare il patto con un Carroccio distante su politica estera, economia, immigrazione. Ma è difficile che basti. Mattarella ha tenuto a ribadire che occorrerà altro tempo per far nascere una maggioranza. A ieri una soluzione non c’era «ancora», ha detto, ricordando che M5S e Lega hanno aumentato i consensi; ma che nessuno ne ha abbastanza. La pretesa quasi tolemaica di Di Maio di andare a Palazzo Chigi in nome della maggioranza relativa dei voti, deve fare i conti con i rapporti di forza. Il «contratto» con Salvini passa o per una rottura, poco probabile, con Berlusconi; o per una manovra concordata. Altrimenti, resterà lettera morta. Rivendicare la premiership per evitare la risacca dell’estremismo grillino è comprensibile, nell’ottica di Di Maio. Lo sarebbe molto meno in quella degli interessi dell’italia, se si traducesse nella minaccia di correre verso altre elezioni.