Così Mattarella certifica che nessuno ha vinto: servono intese, prendiamo altro tempo
Nelle consultazioni la chiamata in campo del Pd che si nega
Stavolta veste i panni del cronista e offre un titolo secco ai giornali: niente intese, serve ancora tempo. Ma fa soprattutto l’educatore civico, Sergio Mattarella. Per spiegare alla gente più o meno digiuna delle «regole della democrazia» e che magari si chiede come mai il proprio partito — 5 Stelle e Lega, per capirci — non sia già a Palazzo Chigi, che in realtà non ha vinto nessuno. Certo, hanno avuto «un ampio aumento di consenso», quelle due formazioni. Ma «a nessuno le elezioni hanno assegnato la maggioranza alla Camera e al Senato». Quindi né l’una né l’altra possono pretendere neppure un pre-incarico, come lo ebbe Bersani, che alla Camera una maggioranza l’aveva, nel 2013, anche se poi chiuse il suo tentativo con un fallimento.
Si muove per fare opera di trasparenza (e un po’ di pressione sui partiti), il capo dello Stato, quando entra nella Loggia alla Vetrata e racconta ai cronisti com’è andato il primo giro di colloqui sul Colle. Male, cioè. Nel senso che le faglie apertesi con il terremoto alle urne del 4 marzo restano sempre lì, non ricomposte. «Nessun partito e nessuno schieramento dispone, da solo, dei voti necessari per formare un governo e sostenerlo», dice. E, sempre pedagogico, aggiunge: «Le consultazioni hanno lo scopo di far emergere la composizione di un governo che abbia il sostegno della maggioranza del Parlamento». Serve pertanto che «due dei tre blocchi» dei quali si compone adesso il nostro panorama politico «si uniscano».
Una condizione indispensabile, che resta al momento irrealizzata. Per cui, visto che «molti» dei suoi interlocutori gli hanno «prospettato l’esigenza di maggiore tempo», il presidente offre «qualche giorno di riflessione». Sarà utile a me, sillaba, «per analizzare le considerazioni» presentategli dai partiti, e utile ai partiti «per valutare responsabilmente la situazione, le convergenze programmatiche e le possibili soluzioni per far partire un esecutivo». Quanto lunga sarà la pausa? Quantomeno fino a mercoledì prossimo (compreso), nella speranza che nuovi confronti portino frutto. Altrimenti, se mettesse fretta, rischierebbe di sentirsi ripetere quanto ha già ascoltato fino ad ora.
Qualcuno, ieri, giurava che le posizioni emerse al cospetto di Mattarella sarebbero «non troppo lontane». Non è ancora vero. Lo dimostra, al di là delle facili suggestioni, ciò che è stato verbalizzato al Quirinale. Il bilancio è questo: il M5S, che ha l’ambizione di condurre il gioco, ha sì in corso un dialogo fitto con la Lega di Salvini, ma preferirebbe un accordo con il Pd. E pure Forza Italia, dopo l’insormontabile interdizione subita da Berlusconi per bocca di Di Maio, ricambia l’ostilità e tende a una riedizione del patto del Nazareno con i democratici, in ciò distanziandosi da Salvini, che la rifugge. Solo che il Pd, come ripete il reggente Martina, resta blindato in un’indisponibilità aventiniana. Una blindatura che non tradisce il diktat dell’ex segretario Matteo Renzi.
Ecco lo stallo denunciato dal presidente. Sciogliere questo nodo non sarà una faccenda rapida né semplice. Vanno dissipate parecchie tensioni e smussate alcune asprezze di troppo. Come quelle del leader leghista, che rimane un po’ malmostoso quando sente parlare di «vincoli europei» (economici e politici evocati da Mattarella). Mentre Di Maio, al pari di Berlusconi, si mostra paradossalmente più moderato e tranquillizzante sul tema. Ora ci sarà tempo e modo di approfondire le reciproche disponibilità. Sapendo comunque una cosa: Mattarella è contrarissimo a nuove elezioni. E farà di tutto per evitarle.
Per ora il Colle cercherà di scongiurare lo scenario di urne anticipate