I consigli di Letta: non si cede a leghisti e 5 Stelle
Ma Salvini non intende lasciare l’opposizione ai grillini
Forse per Berlusconi è l’ultima sfida, forse solo una delle tante penultime. Di certo «non possiamo consentire che una storia lunga 25 anni venga cancellata». Così Gianni Letta ha rotto il torpore della corte e ha destato il Cavaliere.
In quel clima rassegnato e un po’ condiscendente, che è tipico tra gli sconfitti pronti al cambio di regime, è stato come voler spezzare il sortilegio e spazzar via le ambiguità dello stesso Berlusconi. Per Letta i suoi atteggiamenti rischiavano di essere fatali. E a muso duro gliel’ha detto: la cessione di sovranità al leader della Lega e le lusinghe rivolte al capo dei grillini, sebbene fossero dettate dalla volontà di stare dentro un accordo di governo, lo stavano portando a una mesta abdicazione. «Tu devi far capire a Salvini che starai ai patti. Ma se lui intende allearsi con i Cinque Stelle, deve sapere che ci andrà da solo. Perché Forza Italia andrà all’opposizione».
Ecco cos’è successo l’altro ieri, quando il Cavaliere è andato al Quirinale e ha posto il veto a un’intesa con M5S. Già al tradizionale pranzo di Arcore, spostato al martedì per via della Pasquetta, i familiari e gli amici a capo delle aziende si erano ritrovati infine sulla stessa linea: «Non faremo i paria di Salvini e di Di Maio». Galliani aveva applicato la matematica: «Se i grillini sono stati votati da un italiano su tre, non si capisce perché gli altri due dovrebbero accettare le loro volontà». Letta aveva invece usato la grammatica: se la Lega rompesse l’alleanza di centrodestra, si presenterebbe all’accordo con Di Maio solo con il suo 17%. E dovrebbe subire i rapporti di forza.
«Avallare l’intesa vuol dire consegnarci», era stato il monito dell’ex sottosegretario alla Presidenza. A cui era chiaro che il patto, «a noi ostile», era in stato avanzato. Non aveva bisogno di sapere delle conversazioni tra Salvini e Di Maio, i loro «ci siamo quasi», i loro «limiamo che si chiude», i loro «e con Berlusconi che facciamo?» «ma no con lui me la vedo io». Di qui la mossa, alla quale (per ora) si è acconciato il Cavaliere. «Ditelo al presidente, fateglielo sapere che siete d’accordo», ripete Letta ai parlamentari azzurri. Il suo appello è una chiamata alle armi, un modo per distinguere i fedelissimi da quanti fanno già la fila davanti alla porta dei capigruppo leghisti.
Nessun cedimento, nessuna mediazione al ribasso. Nemmeno ieri quando Salvini, con grande abilità, si è garantito nel centrodestra il ruolo che ha appena conquistato. «Andremo tutti insieme al prossimo giro di consultazioni». Il giorno prima, colto di sorpresa, aveva dovuto escogitare un piano per non veder frantumato il rapporto con Di Maio. Ci aveva pensato Giorgetti, il Letta della Lega, a creargli uno spazio di manovra: «Berlusconi ha commesso un errore a dire “no” ai Cinque Stelle». Ma siccome entrambi conoscono la grammatica politica si sono premurati di non rompere.
Perciò «tutti insieme al Colle». Già, ma tutti chi? Perché il capo dei grillini ha spiegato a Salvini di non reggere le pressioni nel Movimento se, all’uscita dal colloquio con Mattarella, venisse inquadrato accanto al Cavaliere: «Magari se ci fosse Tajani...». Tajani non solo non può, per via del suo status di presidente dell’europarlamento, ma soprattutto non vuole. E per bloccare il giochino, Letta ha fatto diramare la nota con la quale Berlusconi ha annunciato che al Quirinale saliranno «Salvini Meloni e... Berlusconi».
Sospeso tra l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione, il leader della Lega è pressato da Di Maio: «O stai con il cambiamento o resti con la conservazione». «Non starò mai con Renzi», è sempre la risposta di Salvini, che sa dove vuol condurlo Letta, magari proponendo Giorgetti per Palazzo Chigi. Un progetto che Salvini respinge, «perché lasciare ai grillini l’opposizione, vorrebbe dire fargli prendere il 40% la prossima volta». Così ha affidato proprio a Giorgetti il compito di spiegarlo al capo dello Stato: «Non siamo disponibili a un governo con il Pd». È stato l’unico momento in cui Mattarella ha mosso un sopracciglio.
Eppoi quale accordo? Con quale Pd? Lì dentro stanno ai materassi, se è vero che la Boschi è andata da Martina a prenderlo di petto: «Noi avremo perso le elezioni ma abbiamo vinto il congresso». Spaccati i dem, spaccati i forzisti, in ebollizione i grillini: ieri in Consiglio dei ministri si scommetteva sui tempi della crisi. «Tre settimane e si chiude tutto», pregava Gentiloni. «Mi sa che resteremo qui a lungo», gli ha risposto Franceschini: «E magari finirà con le elezioni». Era un pronostico? Chissà, nessuno sa come e quando finirà.
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I conti di Galliani Il senatore: loro sono stati votati da un italiano su tre, ma ci sono gli altri due...
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FDI non è disponibile a parlare d’altro che non sia un governo a guida centrodestra, che deve restare compatto Non accettiamo veti
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