Di Maio e Salvini i politici più popolari Scavalcato Gentiloni, l’ex leader pd in coda
Elettori dem spaccati sul futuro: 47% a favore di un governo di scopo, 43% contrari
Il risultato del 4 marzo e il dibattito che ha caratterizzato l’ultimo mese si riflettono non solo sugli orientamenti di voto, come abbiamo visto la scorsa settimana, ma anche sul gradimento dei leader. È una conseguenza inevitabile in un’epoca di forte personalizzazione e mediatizzazione della politica.
Ne consegue che i leader considerati i vincitori delle elezioni, Di Maio e Salvini, nel sondaggio odierno fanno segnare una crescita significativa, scavalcando in graduatoria il presidente del Consiglio Gentiloni.
In dettaglio: il leader pentastellato ottiene una valutazione positiva da parte del 39% degli elettori, seguito da Salvini (37%), Gentiloni (36%), quindi dal presidente della Camera Fico (28%), Giorgia Meloni (25%) e Berlusconi (21%). I restanti leader risultano apprezzati da meno del 20%.
L’indice di gradimento, calcolato escludendo coloro che non esprimono un giudizio, vede al primo posto Di Maio, con un indice pari a 45 (in crescita di 12 punti dallo scorso gennaio), che precede di 2 punti Salvini (indice 43, in aumento di 14 punti) e Gentiloni che si attesta a 41, in flessione di 3 punti. I nuovi ingressi in graduatoria sono rappresentati dai neopresidenti di Camera e Senato, che presentano risultati molto diversi (Fico indice 39 e Casellati 19) e il segretario reggente del Pd Martina a 24. Chiudono il leader di Leu Pietro Grasso e il segretario dimissionario del Pd Renzi, appaiati a 16.
Indipendentemente dalle variazioni più significative determinate dal clima post elettorale che, come da tradizione, premia i vincitori e penalizza gli sconfitti, per ciascun esponente si conferma una netta prevalenza dei giudizi negativi su quelli positivi. Di fatto ciascuno beneficia di un consenso circoscritto al proprio elettorato. In altri termini: ciascuno parla ai propri supporter e fatica a convincere gli altri.
Il valore della leadership sembra quindi affievolirsi e, tralasciando i tratti di personalità, il carisma o le proposte politiche, ciò può dipendere soprattutto da due elementi: un sistema elettorale in prevalenza proporzionale che determina la frammentazione dei consensi, e la disillusione della maggior parte degli elettori, sempre meno disponibili a credere all’«uomo della provvidenza». Ne consegue che le leadership rischiano di evaporare in tempi sempre più brevi. È l’altro lato della medaglia della personalizzazione della politica: l’opinione pubblica è sempre più «volatile» e quando cambia il clima solo una minoranza è disposta a riconoscere i meriti di un leader fino a poco tempo prima apprezzato.
La parabola di Renzi, a questo proposito, è emblematica: nel 2014, dopo il suo insediamento al governo e il trionfo alle Europee, raggiunse picchi di consenso pari al 70% mentre oggi solo il 14% esprime un giudizio positivo. In prospettiva futura un elettore su quattro (24%) ritiene che Renzi potrà riprendersi un ruolo di primo piano (50% tra gli elettori Pd), mentre il 58% è di parere opposto e pensa che, come è avvenuto ad altri leader del centrosinistra dopo essere stati sconfitti, non riuscirà a ritornare in auge. E anche tra i dem quasi due su cinque (39%) la pensano così.
Le chance di Renzi dipenderanno anche dall’esito della delicata fase che il Pd sta attraversando. In tal senso l’opinione pubblica si mostra divisa: il 43% ritiene che se M5S e Lega non riuscissero ad accordarsi per formare un governo il Pd dovrebbe restare comunque all’opposizione, anche con il rischio di andare a nuove elezioni; al contrario il 35% è del parere che il Pd dovrebbe mettersi a disposizione per sostenere un eventuale governo «di scopo» con pochi obiettivi come una legge finanziaria che scongiuri l’applicazione delle clausole di salvaguardia concordate con l’ue e una legge elettorale che garantisca un vincitore dopo il voto.
Gli elettori dem esprimono una posizione tutt’altro che univoca: il 47% è a favore del sostegno ad un governo di scopo, mentre il 43% ritiene che il partito debba rimanere comunque all’opposizione.
Dopo la sconfitta per il Pd sembra dunque profilarsi una «traversata del deserto» di berlusconiana memoria, ma è meglio evitare di dare tutto per scontato, perché l’opinione pubblica non è fissa ed immutabile e la politica è l’arte del possibile, come è testimoniato dall’affermazione di un soggetto recente come il M5S e di un partito quasi trentennale che ha saputo trasformarsi come la Lega.