Energia e finanza, sanzioni al gotha di Putin
Gli Usa puniscono 24 oligarchi e funzionari. Arriva un nuovo giro di dazi anti Cina, affonda Wall Street
WASHINGTON Sanzioni contro sette oligarchi russi, tra i quali Kirill Shamalov, ex genero di Vladimir Putin, azionista del gruppo petrolchimico Sibur, e contro 17 «alti funzionari» di Mosca, compreso Alexei Miller, l’influente boss di Gazprom, l’azienda del gas e del petrolio, il nerbo dell’economia russa.
In parallelo, Donald Trump ordina un altro giro di dazi contro la Cina: «Alla luce delle ingiuste rappresaglie di Pechino ho ordinato di valutare ulteriori tariffe per 100 miliardi di dollari».
Vero, Trump non ha mai attaccato direttamente Putin e, anzi, proseguono i preparativi per il faccia a faccia tra i due leader. Inoltre pesa sempre l’ipoteca del Russiagate, l’inchiesta condotta dal super procuratore Robert Mueller sulla possibile collusione tra The Donald e il Cremlino. Eppure il documento anti-russia diffuso ieri dalla Casa Bianca è addirittura sferzante. D’accordo, il presidente non perde occasione per elogiare il leader cinese Xi, ma la logica con cui ha giustificato il rilancio sulle tariffe è rabbiosa.
In realtà su Russia e Cina sono tutti d’accordo, a Washington: le agenzie dei servizi segreti, i generali del Pentagono, i parlamentari repubblicani e democratici.
Nel coro steccano le imprese più esposte alla rappresaglia di Pechino: multinazionali come Boeing, o gli agricoltori del Midwest. Non è poco: il malessere si riflette su Wall Street, anche ieri in perdita secca (Dow Jones a -2,3%). Ma è un prezzo, anche politico, che Trump ha messo in conto: «Sì, il mercato perde qualcosa, ma quando avremo finito avremo un Paese ancora più forte».
Avanti allora, con la doppia manovra. Il ministro del Tesoro, Steven Mnuchin ha colpito la Russia soprattutto nei settori dell’energia, delle armi e della finanza. Ecco la sequela degli oligarchi penalizzati, con il commento del ministro americano: Kirill Shamalov, «diventato ricco dopo aver spostato la figlia di Putin»; Vladimir Bogdanov, direttore generale di Surgutneftegaz, «una compagnia petrolifera già sanzionata»; Oleg Deripaska, al centro delle indagini di Mueller per il suo legame con Paul Manafort, capo della campagna elettorale di Trump e suo sodale da almeno trent’anni, «è stato inquisito per riciclaggio, minacce di morte ai rivali, estorsione e racket»; Suleiman Kerimov «inquisito in Francia per riciclaggio ed evasione»; Igor Rotenberg «opera nel settore energetico»; Andrei Skoch «ha antichi legami con la criminalità organizzata»; Vicktor Vekselberg, «fondatore della holding Renova, con interessi nell’energia e in altri comparti, già accusato di corruzione».l’elenco di Mnuchin comprende anche 12 società, quasi tutte nel settore energetico, controllate dagli oligarchi. Saranno congelati i conti o asset negli Usa.
Tra i «funzionari governativi» spiccano Miller, il presidente di Gazprom, considerato «un funzionario del governo russo» a tutti gli effetti, e il ministro dell’interno Vladimir Kolokotsev.
Da Mosca arrivano reazioni dal governo e dal Parlamento: «passo ostile e insensato».
A Washington, intanto, si attende un’altra lista, quella sui dazi da 100 miliardi di dollari. La quarta della serie, dopo frigoriferi, acciaio e beni cinesi. La seconda mirata sull’import da Pechino, dopo la stretta da 50 miliardi formalizzata il 4 aprile, ma non ancora entrata in vigore. Mnuchin e il neo consigliere economico Larry Kudlow sollecitano una trattativa. La risposta del ministero cinese del Commercio è secca: «In queste condizioni non è possibile alcun negoziato; ribatteremo fino alla fine e a ogni costo con determinazione».