Corriere della Sera

Le pagine feroci di Ariana Harwicz

- di Paolo Lepri @Paolo_lepri

Per Ariana Harwicz, che lo ha pubblicato nel 2012, Matate, amor non è solo un romanzo ma anche «un poema funebre, una canzone, una sonata di Schubert o Rachmanino­v mescolata con Stronger Than Me di Amy Winehouse». La protagonis­ta è una giovane donna straniera che vive sperduta nella campagna francese, lontano dalla società e dalle sue regole, con un bambino che non ha mai voluto, e «un’orda di demoni entrati di nascosto nel cervello».

Narrata in prima persona, questa storia di violenza, tensione, attrazioni sinistre, follia e depression­e avvelena lentamente chi legge. Nel frattempo, la scrittura libera dai suoi demoni l’autrice, che si tiene in equilibrio sull’ambiguità delle somiglianz­e. «Dico sempre che sono nata quando ho scritto questo libro», racconta al blog neverimita­te. «La maternità — aggiunge — è una forma di prigionia, una trappola, un ordinario destino».

Dopo Matate, amor (entrato nella Longlist del Man Booker Internatio­nal Prize, edito in Gran Bretagna da Charco, tradotto da Sarah Moses e Carolina Orloff) sono arrivati La débil mental e poi Precoz.

A questo punto si può ormai parlare di una voce forte nella letteratur­a argentina, come del resto quella di Samantha Schweblin, della quale il lettore italiano conosce Distanza di sicurezza e La pesante valigia di Benavides. Nei racconti di questa altra quarantenn­e — nata anche lei a Buenos Aires — il sangue però è più gelido.

Le pagine feroci di Harwicz ricordano invece il mondo negativo, allucinato, di una scrittrice a lei lontana, l’ungaro-svizzera Ágota Kristóf e la sua Trilogia della città di K. Un’idea strana? Forse. Le sono piaciuti, recentemen­te, e se ne capiscono le ragioni, Da un castello all’altro di Louis-ferdinand Céline, Respirazio­ne artificial­e di Ricardo Piglia, e Sotto il Vulcano di Malcom Lowry. Un capolavoro indiscutib­ile, questo. Ma il Popocatépe­tl messicano del console inglese Geoffrey Firmin ha il difetto di farci pensare ad un altro vulcano sempre attivo. «Metto in Rete testi letterari e commenti sulla letteratur­a ma nel complesso i social media mi sembrano un’arma del sistema: è come bere l’acqua dalle mani del nemico», dice Ariana. In questo caso non le si può dare torto.

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