Le pagine feroci di Ariana Harwicz
Per Ariana Harwicz, che lo ha pubblicato nel 2012, Matate, amor non è solo un romanzo ma anche «un poema funebre, una canzone, una sonata di Schubert o Rachmaninov mescolata con Stronger Than Me di Amy Winehouse». La protagonista è una giovane donna straniera che vive sperduta nella campagna francese, lontano dalla società e dalle sue regole, con un bambino che non ha mai voluto, e «un’orda di demoni entrati di nascosto nel cervello».
Narrata in prima persona, questa storia di violenza, tensione, attrazioni sinistre, follia e depressione avvelena lentamente chi legge. Nel frattempo, la scrittura libera dai suoi demoni l’autrice, che si tiene in equilibrio sull’ambiguità delle somiglianze. «Dico sempre che sono nata quando ho scritto questo libro», racconta al blog neverimitate. «La maternità — aggiunge — è una forma di prigionia, una trappola, un ordinario destino».
Dopo Matate, amor (entrato nella Longlist del Man Booker International Prize, edito in Gran Bretagna da Charco, tradotto da Sarah Moses e Carolina Orloff) sono arrivati La débil mental e poi Precoz.
A questo punto si può ormai parlare di una voce forte nella letteratura argentina, come del resto quella di Samantha Schweblin, della quale il lettore italiano conosce Distanza di sicurezza e La pesante valigia di Benavides. Nei racconti di questa altra quarantenne — nata anche lei a Buenos Aires — il sangue però è più gelido.
Le pagine feroci di Harwicz ricordano invece il mondo negativo, allucinato, di una scrittrice a lei lontana, l’ungaro-svizzera Ágota Kristóf e la sua Trilogia della città di K. Un’idea strana? Forse. Le sono piaciuti, recentemente, e se ne capiscono le ragioni, Da un castello all’altro di Louis-ferdinand Céline, Respirazione artificiale di Ricardo Piglia, e Sotto il Vulcano di Malcom Lowry. Un capolavoro indiscutibile, questo. Ma il Popocatépetl messicano del console inglese Geoffrey Firmin ha il difetto di farci pensare ad un altro vulcano sempre attivo. «Metto in Rete testi letterari e commenti sulla letteratura ma nel complesso i social media mi sembrano un’arma del sistema: è come bere l’acqua dalle mani del nemico», dice Ariana. In questo caso non le si può dare torto.