Quanti errori con le piante «bollite» da Buran
Èprimavera, fioriscono ciliegi, magnolie e narcisi ma i segni di Buran sono ancora ovunque. Per carità, annate gelide ci son sempre state, ma il loro corso è ora imprevedibile, capriccioso: inverni molto miti e, tutto a un tratto, la batosta. Se i pollici verdi fossero come i cantanti d’opera, che in scena, saggiamente, cantano acuti di almeno un tono più basso di quanto raggiungono mentre si riscaldano, non sarebbe tanto male. Ma è difficile non cedere al fascino esotico e all’ottimismo, sfidare la sorte al limite della rusticità: in fondo potremmo essere fortunati... per un po’. Qui a Roma le Agave attenuata, Ficus elastica ed Epiphyllum tristemente «bolliti» da due notti a - 6˚e ora secchi, punteggiano la città come memento mori, insieme al vuoto lasciato da quelli già rimossi, e ancora più impressione fanno i limoni — più delicati di aranci amari e mandarini, quasi indenni — completamente defogliati. Il che porta a tre considerazioni. La prima: in buona parte dell’italia centro meridionale che, come Roma, ricade nella zona di rusticità 9, è più facile lasciarsi tentare da bellezze freddolose. Ce la faranno per qualche anno, poi... quindi meglio non scommettere troppo su di loro, ma utilizzarle come accento facilmente sostituibile, come un «di più» sul quale non faccia perno l’equilibrio del giardino. La seconda è evitare la fretta di tagliare i rami seccati dal gelo. Vedo limoni sfigurati cui sono state recise intere branche, che avrebbero tranquillamente ricacciato, avendone avuto il tempo: soprattutto con piante legnose aspettiamo il caldo per sapere fin dove la pianta è morta davvero. Terza e ultima, giocare d’anticipo: il numero di piante in vasi che avrebbero potuto essere ritirate al coperto, o protette con geotessuto, mi lascia basito. carlocontesso@yahoo.com