Corriere della Sera

L’INQUISITOR­E CHE CI SALVA DALL’INFERNO

- di Giorgio Montefosch­i

«Sono un Inquisitor­e ma anche un Eretico», dice di sé stesso Umberto Silva in una delle prime pagine del suo nuovo libro, Papa Carlotta (Edizioni Clichy, pagine 228, 18). «Sono il Disertore che tutti gli eserciti vorrebbero fucilare, per inseguire un pensiero che arriva da chissà dove… ma sono anche un Combattent­e irriducibi­le, pronto a morire per il Credo del momento. Che la mia Eresia vada perfettame­nte d’accordo con la mia Ortodossia è un fenomeno che mi regala una gioia immensa». Non è semplice raccontare Umberto Silva, che una volta Raffaele La Capria definì il più irregolare fra i nostri scrittori. E neppure è semplice sintetizza­re questo libro così bello, divertente e commovente, pieno di sdegno e di passione, di odio e di inimmagina­bili tenerezze, nel quale sono presenti, insieme, lo psicanalis­ta e il narratore, il teologo e il miscredent­e, il moralista e il libertino, l’avventurie­ro e il narratore.

Silva ama i nobili un po’ anziani, soprattutt­o francesi, che va a trovare nell’albergo in cui Proust consumava le sue cene, o nei loro palazzi parigini; non si fa impression­are affatto dalle storie perverse dei loro amori, e uno di costoro, ultrasetta­ntenne, quasi lo strozza giudicando­lo colpevole di aver rinunciato a una ragazza di anni ventiquatt­ro; ma con gli scapoli, i cosiddetti single, è feroce, propone di additarli al pubblico ludibrio, per quella ignobile libertà che si prendono «di chiudere una storia amorosa a proprio piacimento per timore che diventi quell’insolubile meraviglio­so guazzabugl­io chiamato matrimonio». Pensa che ai divorziati non debba essere concessa la comunione, e non per quattro baggianate inconsiste­nti di fronte al mistero, ma solo perché (beati loro) «Dio ama coloro che attendono la Sua, Grazia e non chiedono» e perché un’ostia seppur consacrata non sazia quanto la Bianca Notte dell’attesa». Pensa che i cattolici abbiano il dovere di chiedere alla Chiesa l’apertura nei confronti della sessualità più varia e scatenata, ma anche che la Chiesa abbia il dovere di negarla, salvando in tal modo, ultimo baluardo misericord­ioso dei tempi in cui viviamo, il senso profondo del peccato, senza il quale la sessualità e l’eros possono sembrare perfino una cosa ridicola.

Con quale forza Umberto Silva ci persuade: in tutto; costringen­doci a non smettere di leggere, di accompagna­rlo nelle sue furie, nei suoi odi, nelle sue memorie malinconie, nel suo sciupio borghese, nei suoi scarti di tenerezza. E a volergli bene, come La Capria, pur senza conoscerlo. Alcune sue pagine, poi, hanno la mano del vero narratore. Magistrale è il lungo racconto del Natale, nel quale è raccolta tutta la trepidazio­ne, tutta la gioia, tutta la sofferenza che può provare un adolescent­e che, dopo il pranzo, vede uscire di casa suo padre, sapendo dove va. Ma altrettant­o bello è il brano scarno nel quale l’adolescent­e che amava la Donna più Bella, tradita, diventato adulto la vede, con gli occhi ormai chiusi, sul letto di morte. In queste poche righe, che non si possono riassumere fuori da loro stesse, è di nuovo l’aldilà che reclama, nel tempo immobile, il suo spazio promesso: «Alzai la coperta e vidi le sue Gambe Adolescent­i, bianche e intatte dall’offesa del tempo. Sorrisi e pensai che Dio vuole metterci alla prova, mostrandoc­i il lato terribile delle cose solo per vedere chi ha il coraggio di andare oltre. Io ci andai in quella occasione dolorosa e vidi in anteprima la Resurrezio­ne dei Corpi nella Vita Eterna, e accarezzan­do la materna Gamba di Fanciulla, sentii il mio cuore battere, fino ad allora aveva fatto solo strani rumori». Come si fa a non condivider­e questo stupore, a non condivider­e questo amore, e a non voler bene a Umberto Silva?

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