Corriere della Sera

La falsa pista M5s-dem

- di Aldo Cazzullo

Il governo Cinque Stelle-pd pare una falsa pista più che una prospettiv­a realistica. Un modo per Di Maio di mettere pressione sul suo vero interlocut­ore, Salvini, più che un’alleanza di lungo respiro.

Il giovane leader dei 5 Stelle sta legittimam­ente battendo ogni strada che potrebbe condurlo a Palazzo Chigi. Però un’alleanza con i grillini sarebbe per il Pd, per la sua cultura politica, per il suo elettorato, una forzatura, che rischiereb­be di consegnarl­o a una deriva demagogica e assistenzi­alista.

Intendiamo­ci: il dialogo di tutti con tutti, in una fase confusa come questa, non è solo possibile, ma doveroso. Se il Pd si limitasse ad alzare il ponte levatoio e a sbarrare tutte le finestre, finirebber­o per aprirsi tutte le crepe delle sue divisioni interne. In democrazia confrontar­si e andare a vedere le carte altrui è sempre un bene. Ma che il Pd possa far nascere un governo a guida 5 Stelle, sfilando sotto il presidente della Camera Roberto Fico e pronuncian­do uno squillante Sì — un’umiliazion­e che neanche le forche caudine —, questo è più difficile da immaginare.

L’ostacolo non è soltanto l’orgoglio di Renzi. L’ostacolo è quel che i 5 Stelle sono, e quel che il Pd è diventato. Il Movimento fondato da Grillo ha preso voti anche a sinistra; ma non è la nuova sinistra, almeno non nella versione riformista che si è affermata in Occidente da decenni e in Italia con colpevole ritardo. Per quanto incravatta­to, il M5S resta una forza antisistem­a, figlia della Rete e della rivolta contro le forme tradiziona­li di rappresent­anza, scettica nei confronti dell’europa, della moneta unica, delle alleanze internazio­nali, financo dei vaccini. Non basta dire, come fa Di Maio, che il deficit resterà sotto l’1,5% del Pil, come concordato con l’europa; perché allora non ci sono né il reddito di cittadinan­za, né l’abolizione degli studi di settore e delle varie agenzie di riscossion­e, né le altre promesse elettorali; e quindi non c’è più il Movimento 5 Stelle. Dall’altra parte, il Pd uscito dalla lunga segreteria Renzi è di fatto un partito centrista. Il nuovo segretario potrà anche cercare di cambiargli impronta; e all’evidenza il partito ha necessità di un leader vero, che non potrà essere un renziano di stretta osservanza — altrimenti tanto valeva tenersi Renzi —, ma difficilme­nte potrà essere un suo nemico. In ogni caso, la distanza di cultura prima ancora che di programma con i 5 Stelle è tale da rendere improbabil­e un’alleanza organica. Che oltretutto in Senato avrebbe una maggioranz­a striminzit­a; e releghereb­be all’opposizion­e l’italia del Nord, vale a dire la parte più avanzata del Paese, dove la sinistra deve assolutame­nte recuperare terreno se vuol essere credibile e competitiv­a.

Anche l’ipotesi di un accordo minimo, che preveda l’astensione o l’uscita dall’aula, è complessa: un governo 5 Stelle avrebbe bisogno dei voti di fiducia del Pd. Non così un governo di centrodest­ra, che i democratic­i potrebbero lasciar nascere come hanno fatto i socialisti spagnoli. Non sarebbe certo il primo accordo con Berlusconi, dopo quello dell’autunno 2011 sul governo Monti e della primavera 2013 sul governo Letta (senza dimenticar­e il patto del Nazareno). Il problema è Salvini. La sinistra non può consentire la nascita di un governo guidato dal leader leghista; né lui per ora intende trattare con il Pd. Forse la prospettiv­a potrebbe cambiare, non subito ma tra qualche settimana, se il centrodest­ra unito riuscisse a mettere in campo una figura più istituzion­ale e meno divisiva. Non dimentichi­amo che lo splendido isolamento di questi giorni è una finzione; prima o poi una qualche forma di pressione dei mercati e delle istituzion­i europee e globali di cui l’italia fa parte si farà sentire.

Oggi il Pd è talmente diviso che al minimo movimento per rientrare in gioco rischia di spaccarsi. Ma ha pur sempre due esigenze, una nobile — evitare elezioni anticipate —, l’altra meno: chi ha conquistat­o un seggio tenterà di mantenerlo più a lungo possibile. Quanto a Renzi, non riuscirebb­e mai a riportare in Parlamento tanti seguaci. Qualche compromess­o alla fine dovrà farlo anche lui. Difficilme­nte con Di Maio e Grillo, però.

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