Arriva l’alt di Renzi: non bisogna stare al loro gioco Lo fanno solo per dividerci
«All’apparenza non bisogna ROMA credere»: un renziano di rango prende in prestito una frase dei «Tre moschettieri» per descrivere quello che sta accadendo nel suo partito. A prima vista infatti nel Pd ci si divide sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei grillini, ma in realtà non è di questo che si sta parlando e non è per questo che si sta litigando.
Nessuno, nemmeno Franceschini, crede che sia possibile dare vita a un governo con 5 stelle e il ministro lo ripete chiaramente a più di un collega di partito. Tutti, o quasi, in fondo sono d’accordo con quello che in queste ore Renzi va dicendo ai suoi: «Un governo con loro è impossibile tecnicamente perché non ci sono i numeri e politicamente perché non c’è l’accordo».
Ed è proprio sull’ex segretario che in realtà ci si sta dividendo. Tra quanti vorrebbero «derenzizzare» il Pd e indebolire il leader dimissionario e chi invece si oppone a questa deriva.
Il tema del dialogo con i grillini, stoppato da Matteo Renzi sin dal 5 marzo, ha quindi questo obiettivo. Perciò Orlando, Franceschini e Cuperlo lasciano uno spiraglio aperto. Martina lo chiude, ma non del tutto, perché cerca di non scontentare nessuno in vista dell’assemblea del 21 aprile. E per questo suo atteggiamento ha suscitato i sospetti dei renziani sempre più diffidenti nei suoi confronti. Il segretario dimissionario invece ha una posizione più «laica» sul reggente, anche se ai suoi dice che «la linea sui grillini è quella di Orfini», senza nominare Martina.
Renzi, comunque, non si è stupito dell’uscita del ministro conferma a segretario. Nel tentativo di mediare il reggente cerca formule il più possibile inclusive, a costo di apparire contraddittorio. «Il Pd sull’aventino? Assolutamente no», giurava ieri il ministro, che pur avendo apprezzato gli accenti autocritici del capo politico pentastellato ribadisce il no a Di Maio: «La linea non cambia, è quella espressa al Quirinale».
All’evento «Sinistra anno zero» organizzato da Enrico Rossi di Leu si sono affacciati diversi dem del fronte dialogante, come Gianni Cuperlo, Cesare Damiano, Ugo Sposetti, Francesco Boccia. C’era anche il ministro Orlando, che si sente rappresentato da Martina e che ritiene «giusto» parlare con il Movimento 5 Stelle «ma senza nascondere dei Beni culturali su Twitter: «Era ovvio», ha risposto ai fedelissimo che gli chiedevano lumi su quella mossa. Quello di Franceschini, secondo i renziani, è quindi solo un posizionamento interno. «Senza contare il fatto — aggiungono — che magari pensa che se si apre una qualsiasi forma di dialogo anche più in là può provare lui a tesserlo ritagliandosi così un ruolo».
Il segretario dimissionario, comunque, è convinto che occorra «non stare al gioco dei 5 stelle» ed è sicuro che questo atteggiamento serva anche a tenere unito il partito.
In questo Pd dove tutti si muovono e tutti si sospettano è finito nel mirino anche Paolo Gentiloni. C’è chi pensa che il premier stia tenendo aperto un dialogo privilegiato con Di Maio. Ma a palazzo Chigi sostengono che non è così, che il premier ha sentito il leader grillino solo due o tre volte per informarlo di decisioni prese dal governo, da ultimo quella di rinviare il Def di un paio di settimane come «segno di garbo istituzionale».
In conclusione i renziani sono convinti che in realtà questa apertura di Di Maio al Pd sia strumentale e abbia l’obiettivo di dividere il Partito democratico e indebolire il segretario dimissionario. E credono anche che Di Maio non farà nessun passo indietro sulla premiership, per quanto dalla Casaleggio e associati giungano loro altre notizie.
Dunque, il dibattito nel Pd «grillini sì o grillini no» nasconde uno scontro tutto interno. E si guarda all’assemblea del 21 per dirimere la questione. La minoranza fa blocco su Martina in versione anti-renzi. La maggior parte dei sostenitori dell’ex segretario vorrebbe che fosse il congresso anticipato a novembre a decidere il nuovo leader perché diffida del reggente. In assemblea comunque i renziani sono 620 su mille. Ma il «capo» per ora li frena. E in tutto ciò quello a cui pensano in molti nel Pd (e che pochi ammettono) è che nel caso in cui si precipitasse alle elezioni, le liste verrebbero fatte da Martina, se fosse eletto segretario in Assemblea. Se invece si decidesse per il Congresso a guidare il partito (e a fare le liste) sarebbe Orfini, che di Renzi è il grande alleato. le distanze». La linea cautamente aperturista è condivisa da Gianni Cuperlo, evidentemente contrariato dal gioco dei due forni di Di Maio: «Considerare alternative l’alleanza con i dem e quella con la Lega è una mossa di difficile lettura».
Non bastano due opzioni dunque, per spiegare come il Pd sia spaccato tra il partito dell’aventino e il partito dell’arrocco. Michele Emiliano è stato il primo a stendere tappeti rossi ai vincitori e non ha cambiato idea, tanto che Francesco Boccia, vicino al presidente della Puglia, è pronto a consentire a Di Maio «di accendere i motori della legislatura».
Verso l’assemblea Sull’alleanza si gioca in realtà uno scontro interno in attesa dell’assemblea del 21