Le vite si salvano riconoscendo anche le emozioni, non solo i sintomi
Un bravo medico sbaglia. Un bravo medico impara dai propri errori. Che possono essere tanto sconvolgenti da uccidere: una vita, una famiglia, l’interiorità di chi ha sbagliato. Nicole si lamentava da giorni e lei e i suoi genitori avevano paura, una sensazione dell’irreparabile che hanno ascoltato e che li ha fatti continuare a chiedere aiuto. Un’emozione che i medici che hanno visitato la piccola, nei giorni precedenti al ricovero, non hanno accolto. Uno slalom maledetto: un allarme che permea una storia e resta costantemente fuori dalla porta delle numerose consultazioni. Eppure la piccola si toccava la testina. E piangeva. E mamma e papà si preoccupavano continuamente e attivamente di quello scricciolino che, improvvisamente, non era più lei. Di sicuro anche i colleghi interpellati hanno respirato quella paura, insieme al pianto e al dolore fisico. E di certo questa emozione, atavica e potente, ha contribuito a offuscare la loro mente. Una brutta bestia la paura in medicina. Alle volte impedisce ai pazienti di farsi curare, alle volte ai medici di comprendere. E può farlo in maniera subdola, anche senza che il curante se ne accorga. Nozioni, metodologie, protocolli acquisiti con lo studio e l’esperienza sbalzati dal loro posto per far strada al nulla che si manifesta con facili rassicurazioni e trascuratezze. L’armata delle emozioni è implacabile, rade al suolo ogni cosa. Con buona pace dello studio razionale e asettico che, purtroppo, arbitrariamente, troppo spesso all’ars medica viene attribuito. Vero è che nell’ambito del corso di laurea in medicina e chirurgia lo studio della psicologia trova posto in qualche esame a cui gli aspiranti dottori talvolta si sentono costretti. Ma non basta. I vissuti si riconoscono primariamente con una capacità introspettiva che con i libri e la mente non si acquisisce. Si costruisce solo attraverso un lavoro specifico che unicamente la guida di un tecnico dedicato e esperto può affinare. Un impegno di formazione continua. Che protegge medici e pazienti dalla morte: quella fisica, quella dell’errore e quella di piccole parti di noi che, neglette, creano il famigerato disagio interiore. Lavorare anche con le emozioni non è una questione di azioni, di tempo, di studio. Serve una sensibilità affinata che salva la vita e aiuta a curare. Quello che ogni medico, in scienza e coscienza ha giurato, con il cuore, di fare.