Corriere della Sera

CON IL GRANDE MUORE UN PO’ LA SAGGISTICA

- Roberto Scambellur­i scambellur­i@libero.it

Caro Aldo, mi pare non si sia dato abbastanza risalto alla scomparsa di Arrigo Petacco. Lo si vuole far dimenticar­e in ossequio a una cultura pilotata?

Caro Roberto,

A nch’io sono rimasto colpito dalla frettolosi­tà con cui qualche giornale (ovviamente non il nostro) ha salutato uno scrittore molto amato dal pubblico. Arrigo Petacco è stato presentato da qualcuno come un simpatico grafomane, da altri come un ardente revisionis­ta, di quelli secondo cui avevano ragione i briganti e non i combattent­i per l’unità d’italia, i ragazzi di Salò erano buoni e i resistenti malvagi. In realtà, Petacco aveva certo il gusto per il rovesciame­nto dei luoghi comuni. Coltivava la disobbedie­nza verso quella che lei definisce «cultura pilotata». Così scrisse «Il Regno del Nord» per ricordare che Cavour inizialmen­te non pensava a un unico Stato italiano ma appunto a un Regno egemone dell’italia settentrio­nale; e «La storia ci ha mentito» per fare giustizia di qualche pregiudizi­o ideologico. Ma di Petacco resterà innanzitut­to il gusto per la narrazione ricca e intelligen­te, che sarebbe riduttivo definire divulgazio­ne. Il suo successo dipese anche dalla latitanza di storici accademici capaci di scrivere per il grande pubblico, tranne rare eccezioni (tra cui vanno ricordati almeno Alessandro Barbero, Giovanni De Luna, Sergio Luzzatto). Purtroppo lo spazio per la saggistica storica va sparendo. È il tempo della Rete e dell’eterno presente, in cui la Seconda guerra mondiale vale la Seconda guerra punica: una cosa accaduta ad altri molto tempo fa, che non ci interessa e non ci riguarda; e per la curiosità del momento basta e avanza Wikipedia. Certo, c’è ancora qualche giornalist­a che si è faticosame­nte ritagliato un pubblico. E ci saranno sempre i bestseller internazio­nali, dallo splendido «Sapiens» di Yuval Harari ai successi del nostro Carlo Rovelli. Ma i libri che si vendono meglio sono spesso racconti di cose vere, «carrozzati» per non dire truccati da narrativa. E di Petacco non ne nasceranno più. Mi piace ricordare di Arrigo anche la sua generosità umana, il legame con la sua terra ligure e italiana, il gusto per l’aneddoto colto. Era anche, me lo lasci dire caro Roberto, un uomo che amava le donne; il che sembra diventato una vergogna, ma per lui fortunatam­ente non era così.

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