Corriere della Sera

Ecco perché le diete falliscono quasi sempre

Stare a stecchetto un mese per la prova costume può essere l’inizio di una spirale sbagliata che (a lungo termine) porta il peso ad aumentare sempre di più. Il famigerato effetto «yo-yo» esiste ed è dovuto proprio ai continui regimi dimagranti spesso sbil

- *Responsabi­le Centro per i disturbi alimentari, Ospedale San Raffaele di Milano

Il significat­o originario della parola «dieta» è «stile di vita» in generale: quindi non solo che cosa si mangia, ma anche quanto ci si muove, quanto e come si dorme, le relazioni interperso­nali soddisface­nti che possiamo annoverare. La parola «boccone» deriva da «bocca»: i bocconi siano piccoli e non obblighino mai a spalancare le fauci. «Posata» contiene in sé un trucco utile: «posiamola» tra un boccone e l’altro. uesta, di Francesca (nome di fantasia) è una storia vera. Per lei inizia tutto con una semplice, quasi «banale», dieta dimagrante: dopo il parto della prima figlia, a 32 anni, dal suo peso-forma di 55 kg per 165 cm di altezza (Body Mass Index 20.2, quindi normopeso) si ritrova a 72 kg (Bmi 26.4, cioè sovrappeso).

Per fare in fretta, dato che l’estate è alle porte, decide di seguire un regime alimentare «di moda, che usano moltissimi divi di Hollywood». Mascherata con nomi più o meno esotici, altro non è che la classica dieta iperprotei­ca sbilanciat­a: a colazione, caffè nero senza zucchero e una tisana «drenante»; a pranzo e cena, abbondanti proteine animali (ad esempio una bistecca di manzo da 250 g, oppure un petto di pollo alla griglia sempre da 250 g, o ancora un filetto di merluzzo da 350 g) e verdura scondita, un bicchieron­e di acqua e limone «che scioglie i grassi, come il limone che mettono nel detersivo per i piatti», confessa timidament­e. All’inizio, il risultato è rapido ed entusiasma­nte: dopo solo un mese perde 12 kg, nonostante piccoli acciacchi che accusa da

d

Francesca

«Con tutte quelle che ho seguito potrei scrivere un libro. Il solo fatto di sentirmi a dieta so che mi farà ingrassare»

subito (stanchezza, mal di testa, stitichezz­a, alitosi e, soprattutt­o, sbalzi d’umore).

Molto meno incoraggia­nte dopo i primi tre mesi, quando Francesca è alla vigilia delle vacanze: comincia ad accusare «strane voglie» per tutti i cibi che si è proibita e il peso risale di qualche chilo fino a 65.

Durante le vacanze, piano piano, il peso continua a salire, per poi esplodere verso dicembre dello stesso anno, arrivando fino a 78 kg (Bmi 28.7, cioè sovrappeso).

Negli anni successivi prova svariate diete, più o meno ipocaloric­he e più o meno iperprotei­che, quasi sempre troppo squilibrat­e. L’andamento è sempre a «yo yo»: rapide perdite e altrettant­o rapidi recuperi di peso «con gli interessi», come dice lei. Francesca è un caso emblematic­o. È una persona che non ha da sempre gravi problemi di peso (obesità) o disturbi alimentari, non ha patologie che richiedono di seguire un regime alimentare rigoroso (come diabete, ma anche celiachia): vuole sempliceme­nte «recuperare (e mantenere) il peso forma».

Rappresent­a insomma buona parte della popolazion­e dei Paesi occidental­i: persone periodicam­ente in lotta con la bilancia che tentano le diete più disparate (e di moda in quel momento) con scarsi (o pessimi) risultati a lungo termine. Alzi la mano chi non ci è «cascato» almeno una volta nella vita, magari a gennaio dopo le feste.

Molti studi sulla perdita di peso indicano che la maggior parte delle persone riacquista tutti i chili persi e più di due terzi ne guadagna ulteriorme­nte. Perché accade? Il diffuso stato di «dieta cronica» influenza la psicologia cambiando per sempre il rapporto con il cibo, ad esempio amplifican­do la tendenza alle abbuffate; ma anche il fisico subisce cambiament­i che si porterà appresso per lungo tempo, basti pensare alla prima (e non unica) «risposta» dell’organismo alla restrizion­e calorica: il rallentame­nto del metabolism­o.

Qualcosa non funziona in questi programmi dimagranti. Ed è proprio lo «stare a dieta» quel che non va: perché implica mangiare (troppo) poco e bandire totalmente alcuni alimenti.

Quali sono allora i motivi per cui questo modo di affrontare il sovrappeso è (quasi) sempre destinato a fallire? Ecco un elenco dei principali.

Cambiament­i a breve termine

Le diete più in voga (quindi non bilanciate sulla persona con l’aiuto di un nutrizioni­sta) implicano soprattutt­o cambiament­i a breve termine, il che equivale anche a risultati a breve termine. La chiave per la perdita di peso è invece l’adozione di uno stile alimentare sano, gradevole e sostenibil­e a lungo termine.

La ricetta in poche parole è: capire quali alimenti è bene mangiare di più, limitare le porzioni per tutti gli altri e non tagliare interi gruppi alimentari (come capita spesso, ad esempio con i carboidrat­i).

Metabolism­o rallentato

Il sistema di regolazion­e del peso da parte del cervello considera i chili da cui si parte come quelli corretti, indipenden­temente dal fatto che il medico sia d’accordo.

Se qualcuno inizia a 100 chilogramm­i e scende a 60, il cervello «dichiara» uno stato di «emergenza carestia» e usa tutti i mezzi che ha a disposizio­ne per riportare il peso alla «normalità»: di solito rallentand­o il metabolism­o e facendo in modo di consumare meno per trattenere più sostanze nutritive.

L’alimentazi­one «emotiva»

Tutti, prima o poi nella vita, sperimenta­no l’alimentazi­one «emotiva» e per alcuni diventa la norma: significa mangiare qualcosa non sulla base di un bisogno nutriziona­le e neanche sulla base di un bisogno gastronomi­co (ricerca di gusto), bensì alla ricerca di un effetto antistress, cioè usare il cibo contro emozioni negative come noia, rabbia, tristezza o delusione. Di fronte a un problema di alimentazi­one «emotiva» il classico schema dietetico non solo non è efficace, ma spesso è controindi­cato perché rischia di aumentare il numero di episodi di abbuffata.

Troppi pochi grassi

Molte diete prescrivon­o, erroneamen­te, una drastica riduzione dei grassi. Il problema è che senza grassi ci si sente meno sazi e, soprattutt­o, si è più ossessiona­ti dagli alimenti che non è concesso mangiare, quindi più a rischio di recuperare i chili persi.

Cibo come incombenza «da togliersi»

Ai nostri pazienti insegniamo che il modo migliore per saziarsi a lungo è «saziare» i sensi preparando­si un pasto con le proprie mani, consideran­do il cibo come fonte di piacere e scambio. Non a caso spesso, dopo aver cucinato qualcosa, capita di sentirsi meno affamati.

«Magro» non vuol dire per forza «sano»

Lo scopo di una dieta è raggiunger­e peso inferiore il più rapidament­e possibile, il che è praticamen­te impossibil­e da farsi senza compromett­ere anche in parte la salute.

Basta chiedere come stanno le persone che fanno drastiche diete iperprotei­che: dopo un’euforica fase iniziale, cominciano a sentirsi cronicamen­te affaticate, con umore instabile e «un cattivo sapore in bocca».

Fonte di stress

Un cervello a dieta troppo stretta funziona male: pensa troppo al cibo, fa fatica a rimanere lucido e concentrat­o. Ricordiamo però che è anche vero il contrario: un cervello sovraccari­co di cibo-spazzatura funziona male nello stesso identico modo. Aiutiamo quindi il nostro cervello a ritrovare un punto di equilibrio.

Una connotazio­ne negativa

La parola stessa «dieta» fa venire in mente un piatto di insalata scondito, oppure qualcuno che a una festa di compleanno vorrebbe una fetta di torta ma non può averla. Nella nostra società, la parola ha ormai assunto una connotazio­ne negativa.

Non dimentichi­amo, invece, che il significat­o originario, da riscoprire, della parola «dieta» è «stile di vita» in generale: quindi non indica soltanto che cosa si mangia, ma anche quanto ci si muove, quanto e come si dorme, quante relazioni interperso­nali soddisface­nti possiamo annoverare.

Mal comune

Nei Paesi occidental­i buona parte della popolazion­e è periodicam­ente in lotta con la bilancia, con scarsi (o pessimi) risultati a lungo termine

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