Il mangiare intuitivo Alla portata di tutti
Francesca (si veda articolo nella pagina a fianco) fa parte del crescente numero di persone che sta voltando le spalle alle diete «compulsive».
Stanno facendo pace con il cibo e con il loro peso, utilizzando ciò che gli esperti hanno definito un approccio «anti-dieta».
È arrivata al Centro Disturbi Alimentari dell’ospedale San Raffaele Turro di Milano 10 anni dopo la prima dieta, quindi a 42 anni in una condizione di aperta obesità (85 kg, Bmi 31.2), ma soprattutto con il morale a terra per episodi di «fame nervosa» che non riusciva più a controllare.
Subito ha specificato: «Non datemi una dieta per favore! Con tutte quelle che ho fatto potrei scrivere un libro. Il solo fatto di sentirmi a dieta, so che mi farà ingrassare».
Francesca non ha tutti i torti: è un fatto accertato che, da quando le persone seguono diete rigide e contano le calorie, la popolazione mondiale è sempre più in sovrappeso. La chiave del problema potrebbe essere consapevolezza enterocettiva, una parola difficile per indicare la nostra capacità di «ascoltarci dentro», quindi di sentire e riconoscere le nostre sensazioni ed emozioni interne (fame e sazietà, piuttosto che rabbia, tristezza o delusione).
Quando seguiamo un regime alimentare rigido, siamo portati a trascurare i segnali interni su cui si basa la nostra possibilità di essere sazi e magri per tutta la vita.
Con queste nuove basi inizia il percorso «riabilitativo» di Francesca: almeno una mezza giornata alla settimana di supporto nutrizionale e, soprattutto, psico-nutrizionale (con tecniche per il miglioramento della consapevolezza enterocettiva ed altre mindfulness-oriented, ovvero per il miglioramento della consapevolezza di sé, nel momento presente e senza giudizi o commenti), con l’aggiunta di lezioni di cucina per migliorare l’appetibilità dei prodotti sani ma magari non molto «invitanti».
E i risultati ci sono: l’andamento della perdita di peso è più lento (circa il 10% in 6 mesi, quindi da 85 a 77 kg), ma costante. Soprattutto, l’umore e le energie migliorano poco a poco, come anche la consapevolezza di potercela davvero fare.
La dieta rigida è «la madre di tutte le abbuffate». Non bisogna seguire una «dieta», ma un «regime alimentare» sano che insegni a mangiare meno, in maniera consapevole, ma senza inutili rinunce.
Un’abitudine che deve essere in grado di accompagnarci a lungo, per la vita, mentre «a dieta» non si può stare per sempre.
Un concetto fondamentale della riabilitazione psico-alimentare è infatti «aiutiamoci a mangiare meglio per sentirci meglio, non per vedere 10 kg in meno sulla bilancia».
Superare il concetto di dieta per sentirsi finalmente a proprio agio con il cibo è possibile, quindi, e l’ago della bilancia in discesa è solo una delle conseguenze di questo modo di intendere il nutrirsi che alcuni chiamano «mangiare intuitivo».
Eccone i capisaldi, uno per ogni giorno della settimana.
Innanzitutto occorre smettere di mangiare in modo automatico, per arrivare ad assaporare ogni morso. Bisogna guardate i colori nel piatto e inalare bene l’aroma, godersi la consistenza.
La meta è arrivare a darsi il permesso incondizionato di mangiare quando si ha fame. Ma prima occorre anche chiedersi: «Ho fame davvero?». Se in quel momento si è annoiati, tristi, o felici bisogna rendersi conto che non è il cibo ciò che si desidera realmente.
Fonte di gravi errori è dividere gli alimenti in buoni o cattivi perché una parte di ciò che ci spinge a mangiare gelato o patatine è anche una fissazione sulla «fascinazione» degli alimenti «cattivi».
Occorre imparare ad accettare i propri limiti: stop ai sensi di colpa per aver sgarrato una volta, che tra l’altro è il motivo principale per cui si interrompe il corretto stile alimentare. «Perdoniamoci» invece e facciamo meglio il giorno dopo.
I pasti hanno diritto ad almeno un quarto d’ora al mattino e mezz’ora di tempo a pranzo e cena. Mangiando lentamente, i segnali di fame e pienezza del corpo si percepiscono con maggiore chiarezza.
La sazietà, infatti, non si basa sulla sensazione di pancia piena ma sui segnali chimici che il cibo invia al cervello. Per far lavorare questi stimoli c’è bisogno di almeno 20 minuti di tempo. Il termine «posata» contiene in sé un trucco utile: posiamola tra un boccone e l’altro. Anche l’utilizzo di bacchette orientali può aiutare il ritmo del pasto.
Senza imitare per forza i maestri Zen, è bene concedersi ogni tanto di masticare a lungo un boccone: è un metodo infallibile per apprezzare di più i cibi salutari e per svelare le trappole del cibo-spazzatura che (quando masticato tanto) assume un gusto poco gradevole.
Strategia vincente è quella di confezionare sempre una porzione ad hoc (ad es. mettendo i biscotti per la colazione in una ciotolina e non prendendone in automatico dalla confezione lasciata sul tavolo). Giusto anche usare stoviglie che permettano por- zioni piccole (si pensi ai piatti dell’alimentazione giapponese tradizionale), con colori e sapori vivaci e consistenze diverse.
La parola «boccone» deriva da bocca, quindi i bocconi siano piccoli e non obblighino mai a spalancare la bocca per mangiare. Il consiglio Non si può stare a dieta, per sempre. Concetto base della riabilitazione alimentare è: «Aiutiamoci a mangiare meglio per sentirci meglio, non per vedere 10 kg in meno»
Quando il rumore esterno non disturba, è più facile sentire le sensazioni di fame e sazietà. Mangiare in silenzio e in un clima sereno di sicuro aiuta: se c’è il rischio di discutere animatamente o di arrabbiarsi, meglio fermarsi e rimandare il pasto. È fondamentale, per lo stesso motivo, spegnere televisione e telefonino. Il consiglio è quello di concentrarsi sul cibo e sulle sensazioni che trasmette, mangiando con più gusto e attenzione. alle domande dei lettori sui disturbi alimentari all’indirizzo
Consapevolezza Quella enterocettiva ci rende capaci di cogliere sensazioni come fame e sazietà
Scuse per arrendersi Stop ai sensi di colpa per aver sgarrato anche solo una volta, causa di tante rinunce
2. «Buoni» e «cattivi»
3. Sensi di colpa
4. Rallentare
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