Corriere della Sera

Trump convoca i militari E chiede di preparare i piani per colpire il regime

- di Giuseppe Sarcina DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE (Ap)

WASHINGTON Questa è la «linea rossa» di Donald Trump. O, come dice il senatore repubblica­no Lindsay Graham, «il momento della verità per la sua presidenza». Il leader della Casa Bianca ha reagito con furia alle notizie in arrivo da Douma, con un tweet: «Molti morti, compresi donne e bambini, in un assurdo attacco chimico in Siria. L’area delle atrocità è chiusa e circondata dall’esercito siriano che rende l’accesso impossibil­e. Il presidente Putin, la Russia e l’iran sono responsabi­li per l’appoggio a questo animale di Assad. Ci sarà un grande prezzo da pagare».

Ieri è stata una domenica di grande lavoro al Dipartimen­to di Stato, dove i funzionari hanno raccolto i primi rapporti dei servizi segreti militari e di altri fonti civili dislocate nella zona del blitz. Il tutto mentre da Pyongyang arrivava la notizia che il dittatore Kim Jong-un sarebbe disposto, in un incontro con Trump, a trattare la «denucleari­zzazione» della Penisola coreana.

Intanto, il risultato dell’inchiesta lampo sarà discusso stasera in un incontro tra Trump e i vertici militari alla Casa Bianca. Il consiglier­e per la sicurezza nazionale e l’antiterror­ismo, Thomas Bossert, in un’intervista all’abc, non ha «escluso» l’idea di un raid americano contro la Siria: «tutte le opzioni sono sul tavolo».

In un altro tweet Trump se l’è presa con il suo predecesso­re: «Se il presidente Obama avesse attraversa­to la “Linea rossa” tracciata sulla sabbia, il disastro siriano sarebbe finito molto tempo fa. Non ci sarebbe stata storia per quest’animale di Assad». The Donald richiama, come ha fatto spesso negli ultimi due anni, la situazione del 2013, quando Obama diffidò Assad dall’usare armi chimiche. Il regime di Damasco continuò i suoi bombardame­nti con i gas, ma la Casa Bianca non si mosse.

Trump ora si trova esattament­e nella stessa posizione, davanti a un dilemma che lui stesso ha costruito, proprio come aveva fatto Obama. Un anno fa, il 4 aprile, gli aerei di Assad uccisero circa 100 persone sganciando ordigni al sarin sul villaggio di Khan Sheikhoun. Il presidente reagì la sera del 6 aprile, mentre era a cena con il leader cinese Xi Jinping nella villa di Mar-a-lago, ordinando il lancio di 59 missili Tomahawk sulla base di Al Shayrat. In quell’occasione Trump prese un impegno solenne in tv: gli Stati Uniti sarebbero intervenut­i ancora in caso di ulteriori raid chimici. Ecco, ora tocca a Trump decidere se attraversa­re la sua «linea rossa».

Il problema, però, è che lo stesso Trump, nelle ultime settimane, si è mostrato sempre più insofferen­te: «È arrivato il tempo di andarsene dalla Siria, lasciamo che siano altri a occuparsen­e». Il contingent­e americano è formato da circa 2 mila unità, con base a Manbij e un raggio d’azione circoscrit­to al Nordest del Paese. Il Pentagono è fieramente contrario allo sgombero: il timore è che i 2-3 mila combattent­i dell’isis possano riorganizz­arsi in qualche zona franca della Siria, magari sconfinand­o in Iraq. Il contrasto tra Trump e il segretario alla Difesa, James Mattis, si è ricomposto qualche giorno fa, con una soluzione di compromess­o: i soldati restano nell’area, ma si concentrer­anno soprattutt­o «nello sradicamen­to» dei terroristi.

Sul piano geopolitic­o le conseguenz­e di questo approccio minimalist­a sono molto chiare: abbandonar­e a se stessi i ribelli siriani alleati; avallare, sia pure in modo indiretto, la sopravvive­nza del regime di Assad; lasciare che Russia, Iran e Turchia si spartiscan­o le zone di influenza.

Ma i gas di Damasco stanno dimostrand­o quanto questa strategia sia eticamente, prima ancora che politicame­nte, insostenib­ile, visto che gli Stati Uniti consideran­o la reazione all’uso dei gas «una questione di coscienza», come ha ripetuto negli ultimi mesi l’ambasciatr­ice all’onu Nikki Haley. La comunità internazio­nale si è già mobilitata. Oggi a New York dovrebbe esserci una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’onu, su richiesta della Francia. Ma le Nazioni Unite escono addirittur­a ridicolizz­ate da Assad. La tregua di trenta giorni concordata all’unanimità il 24 febbraio scorso, si è rivelata effimera. A maggior ragione tocca a Trump decidere e risolvere il suo dilemma.

L’annuncio di Kim Kim Jong-un sarebbe disposto a trattare la «denucleari­zzazione» della Penisola coreana

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Di corsa verso il rifugio Un papà si affretta verso un riparo con suo figlio a Douma, sobborgo a est di Damasco martoriato dalle bombe dell’esercito del dittatore Bashar Assad (Hamza al Hajwe/afp)
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Sopravviss­uti Un volontario cura due bambini che hanno respirato gas a Douma, accusando difficoltà a respirare e bruciore agli occhi

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