«Non siamo il piano B degli altri partiti»
Il reggente pd Martina: M5S non ci tiri per la giacca. Ma Franceschini pressa. Leadership, Richetti in campo
ROMA Matteo Richetti si dice pronto a scendere in campo per la segreteria del Pd, se l’assemblea nazionale del 21 aprile deciderà per le primarie. Una mossa che smuove le acque, già agitate del Pd, diviso tra chi vuole aprire a un dialogo con i 5 Stelle e chi, come i renziani, pone un veto a qualunque interlocuzione. Primo appuntamento, domani, con l’assemblea dei gruppi.
Il reggente Maurizio Martina fa il punto a Che Tempo che fa: «Non siamo il piano B di nessuno. I 5 Stelle non ci tirino per la giacca, quando non hanno risolto le ambiguità di fondo. Salvini stia sereno: con lui, il Pd, mai». Quanto al fronte interno, dice, «all’assemblea mi propongo come segretario, in un lavoro ispirato a criteri di collegialità non abbiamo bisogno di conte: dobbiamo ricostruire un gruppo. E io non sono il commissario liquidatore del Pd né il passacarte».
Dario Franceschini guida la fronda di chi chiede di ascoltare i 5 Stelle: «Ho detto semplicemente che bisogna guardare con attenzione a quello che avviene in un movimento che è in fase di trasformazione». Obiettivo: non tanto andare insieme al governo, «in questa legislatura molto probabilmente saremo opposizione», quanto «aiutare uno sviluppo del Movimento verso una posizione riformista progressista piuttosto che in quella populista della Lega». Andrea Orlando denuncia «un’involuzione preoccupante del dibattito interno», con «attacchi anche personali e delegittimazione delle minoranze».
Richetti, che ha appena lanciato la sua nuova corrente Harambée, si augura che il Pd arrivi a congresso in autunno, con una proposta unitaria. Quanto alla sua di proposta, si colloca nella scia di un superamento del renzismo, senza rinnegarlo: «Renzi ha dato un grande contributo al riformismo di questo Paese. E ora da senatore può accompagnare questo processo di cambiamento». Richetti sottolinea la lontananza dai 5 Stelle, parlando di «disonestà intellettuale» e di «deriva privatistica pericolosissima». Le distanze restano «profonde sia sulle proposte per il Paese sia sull’idea di democrazia».