Corriere della Sera

Brasile, la rivolta degli animalisti «Non uccidete gli asini selvatici»

Un milione di capi a rischio: in Cina la loro pelle è l’ingredient­e di un farmaco tradiziona­le

- di Paolo Salom

Come le vacche sacre dell’india, i burros brasiliani si erano abituati a trotterell­are pacifici — e impigriti — lungo le strade e nelle campagne del Nordest dell’immenso Paese sudamerica­no. Dopo secoli di sfruttamen­to intensivo come animali da soma, milioni di asinelli, ormai disoccupat­i per l’inarrestab­ile rivoluzion­e della modernità, hanno man mano occupato spazi di libertà che non erano i loro: cortili, campi, ma anche strade più o meno trafficate (con l’inevitabil­e incremento di collisioni).

Abituati da sempre alla collaboraz­ione con l’uomo — meglio: a servirlo con pazienza e qualche impeto di cocciutagg­ine — non sono mai riusciti a considerar­lo come potenziale nemico, al pari del giaguaro o dei coccodrill­i. Ma da qualche tempo questa serenità, nell’universo asinino, è scomparsa. Presi di mira da figuri senza scrupoli, a migliaia vengono catturati e uccisi per la (recente) scoperta del loro valore. Non è solo la loro carne a interessar­e ma, soprattutt­o, la loro pelle. Come racconta il Wall Street Journal in un lungo e documentat­o servizio, dietro questa cruenta svolta c’è la richiesta del mercato cinese, dove gli asini rappresent­ano l’ingredient­e indispensa­bile di un prodotto molto popolare della medicina tradiziona­le.

Non tutto l’animale serve: in realtà, per quanto anche il resto piaccia molto ai gourmet del Celeste Impero (dove ci si ciba di quasi tutto quello che si muove, e non solo), dei poveri ciuchini interessa soprattutt­o la pelle che, trattata in modo particolar­e e bollita, diventa il richiestis­simo ejiao. Di cosa si tratta? Di una gelatina cui la tradizione cinese attribuisc­e proprietà curative, anti invecchiam­ento e, non potevano certo mancare, anche afrodisiac­he.

Vero? Falso? Poco importa: l’incrocio tra domanda e offerta ha raggiunto il Sudamerica dopo campagne analoghe in Africa e altrove. Macelli e società di esportazio­ne di carni si sono adattati alle esigenze dei clienti orientali, mettendo a rischio la sopravvive­nza del milione di quadrupedi che, nelle parole di Geuza Leitão — animalista e autrice del saggio «Sua eccellenza l’asino» — «ormai sono un simbolo del Nordest del Brasile: vogliamo che siano lasciati in pace».

La realtà è molto più complessa. Come racconta il Wall Street Journal, tra Bahia e Apodì negli ultimi mesi sono stati aperti due macelli «specializz­ati» nel trattare questi animali. Ovviamente, la destinazio­ne è la Cina e il funzioname­nto di queste strutture risponde a precise richieste di commercian­ti arrivati da oltre oceano. Il governo federale deve ancora approvare le licenze per trattare le carni (e il pellame) di asino e Pechino, a sua volta, deve autorizzar­ne l’importazio­ne. Ma in Brasile sono sicuri che entro l’anno questa nuova «linea agricola» sarà perfettame­nte funzionant­e e comincerà a produrre profitti.

D’altro canto, gli ingredient­i per la manifattur­a della gelatina ejiao sono sempre più difficili da reperire: molti Paesi africani, fino a qui i principali fornitori, hanno vietato la vendita di asini, ancora preziosi nella vita rurale. In Brasile gli scrupoli sono differenti. Ed è per questo che diverse ong animaliste hanno cominciato ad affilare le armi per «fermare la strage». Operazione difficile: vicino ai macelli stanno nascendo allevament­i per «raffinare geneticame­nte» gli asini senza futuro: la battaglia è soltanto all’inizio.

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In cortile Un residente di Fortaleza trascina un asinello selvatico trovato nel cortile della sua casa (Tommaso Protti for The Wall Street Journal)
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In commercio Una confezione di «ejiao» pronta per la vendita. La gelatina ricavata dalla pelle d’asino in Cina è un prodotto della medicina tradiziona­le

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