Corriere della Sera

I dubbi del capo dello Stato su un terzo giro con i partiti L’idea di un «esplorator­e»

Non ci sarebbero ancora le condizioni per un incarico

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S tavolta la parabola evangelica secondo cui «gli ultimi saranno i primi» non vale. Almeno per quanto riguarda il secondo giro di consultazi­oni al Quirinale che comincia tra 24 ore. Dunque è sbagliato pensare, com’è successo a Montecitor­io ieri con una melodramma­tica rincorsa di interpreta­zioni, che l’ordine d’ingresso dei partiti nello studio di Sergio Mattarella offra chissà quali vantaggi a chi sarà chiamato a chiudere la sfilata. Ossia i 5 Stelle, preceduti dalla delegazion­e del centrodest­ra, solo penultima. Un calendario leggendo il quale qualcuno si è spinto a sospettare che questo sia il segnale di un incarico imminente al movimento grillino per formare un nuovo governo.

In realtà, come ha poi puntualizz­ato il Colle, la decisione sull’ordine delle udienze si è fondata sulla consideraz­ione che il centrodest­ra non costituisc­e un solo gruppo, ma si tratta di una formazione di tre gruppi, con rispettivi capigruppo e rappresent­anti che vogliono presentars­i insieme. Ed ecco la scelta di riservare loro lo spazio destinato al maggior gruppo della coalizione, la Lega. Un’opzione «sempliceme­nte protocolla­re e senza alcuna valenza politica, che non può fornire indicazion­i future su eventuali mosse del presidente». Insomma: si è montato un caso su una questione di lana caprina, come si sarebbe detto una volta. Un quadro di diffidenze e tensioni che preoccupa il capo dello Stato. I contatti fra i partiti non sono andati bene, finora. Certo: tra 5 Stelle e Lega pare che si stiano perfeziona­ndo alcune idee comuni sul programma, ma resta insormonta­bile l’ostacolo Berlusconi, per non parlare delle rivalità tra Salvini e Di Maio sulla premiershi­p. Fumate nere pure dal Pd, corteggiat­o (forse solo tatticamen­te) dai grillini, ma oggetto del desiderio anche di Berlusconi: i tormenti del partito, e le spinte aventinian­e di Renzi, non permettono di sperare in un soccorso da quel lato del perimetro politico.

Così, è scontato che Mattarella non nutra al momento fiducia di poter affidare venerdì un incarico pieno, e neppure un pre-incarico (che forse nessuno vorrebbe, per paura di

M5S chiude il giro L’ordine di ingresso deciso sulla base della consistenz­a dei singoli gruppi

fallire) su modello di quello che ebbe Pier Luigi Bersani cinque anni fa. L’ipotesi è remota. Come quella di un terzo giro di consultazi­oni, che l’opinione pubblica, sconcertat­a dallo stallo messo in scena finora dai partiti, potrebbe considerar­e quasi una pagliaccia­ta.

Che cosa significa allora l’indiscrezi­one secondo la quale il capo dello Stato prenderà comunque delle decisioni? Posto che parecchi, Di Maio in testa, gli chiedono un altro supplement­o di tempo (ad esempio di Salvini da Berlusconi o del Pd da Renzi), che cosa potrà fare? Lo strumentar­io a sua disposizio­ne contempla due possibilit­à: 1) inventare una parentesi simile alla «commission­e di saggi per le riforme» usata nel 2013 da Napolitano per guadagnare un paio di settimane, dopo il forfait di Bersani; 2) affidare un mandato esplorativ­o, e qui si apre un nodo complicato. Questo mandato fiduciario, infatti, usualmente si dà ai presidenti di Senato o Camera, ed è scontato che né Fico né la Casellati hanno già maturato l’esperienza per assolverlo. C’è però un’eccezione, nella storia repubblica­na. È il caso di Antonio Maccanico (già ministro per le Riforme con un lungo curriculum da servitore dello Stato) che, nel febbraio 1996, dopo le dimissioni del governo Dini, ebbe da Scalfaro un incarico del genere, per formare un esecutivo di larghe intese con l’obiettivo di varare una riforma istituzion­ale.

È presto per dire se la scelta di Mattarella sarà di questo tipo e chi, nell’attuale panorama politico, abbia un identikit assimilabi­le a quello di Maccanico. L’altra chance sarebbe un pubblico appello ai partiti affinché, con un bagno di realismo e riflettend­o sulle esigenze del Paese, aprano «un dialogo formale» tra loro in Parlamento. Ma, visto che si dimostrano impegnati tutt’ora a giocare al maggiorita­rio senza aver preso atto della natura proporzion­ale del voto, lo ascoltereb­bero?

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