Walzer: «L’america deve agire O Assad avrà campo libero per punire chi si era opposto»
WASHINGTON Bombardare la Siria non basta. «Gli Stati Uniti dovrebbero sviluppare una vera campagna politico-diplomatica, coordinandosi con gli alleati e cercando un canale di comunicazione diretto e privato con la Russia».
Michael Walzer, 83 anni, è uno dei più importanti filosofi della politica negli Stati Uniti. Alterna studi teorici e analisi sull’attualità internazionale, con un approccio liberal e pragmatico nello stesso tempo. Insegna all’institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jersey.
Trump ha annunciato una decisione imminente in risposta all’attacco chimico di Douma. Che cosa dovrebbe fare?
«Penso che dovrebbe agire in modo diverso rispetto allo scorso anno, quando si limitò a bombardare una base siriana senza avere un piano militare e soprattutto diplomatico più ampio. Ordinò un blitz che non ebbe alcuna conseguenza. Fu solo un gesto dimostrativo, anche in quel caso in risposta a un attacco chimico di Assad».
Ma oggi pensa che Trump dovrebbe ordinare un altro raid?
«Considerato il comportamento di Assad, sarebbe una decisione motivata».
Dovrebbe colpire Assad, le sue proprietà, il suo circolo di collaboratori più ristretti?
«Direi che gli obiettivi do- vrebbero essere le installazioni militari del regime. Ma questa iniziativa va accompagnata con una campagna diplomatica più ampia, altrimenti non serve e a quel punto è meglio non fare nulla».
Quale «campagna»?
«Gli Stati Uniti devono raccogliere e portare le prove degli attacchi chimici all’onu, mostrare l’evidenza dei fatti al mondo, mettere in difficoltà gli alleati di Assad».
La Russia, innanzitutto. Fino a che punto Mosca è responsabile degli attacchi chimici?
«Al momento la Russia difende pubblicamente la versione siriana, sostenendo che non ci sia stato alcun attacco chimico a Douma. Io penso che Mosca sia, invece, consapevole di ciò che è successo. E in ogni caso il governo americano dovrebbe pressare i russi, utilizzando anche canali privati e riservati di comunicazione. Convincerli di quanto sia insostenibile appoggiare il regime di Damasco».
Ma Trump vorrebbe ritirare anche i duemila militari americani dalla Siria. Non sembra più interessato a «convincere» i russi.
«Certo e questo è il tema cruciale. L’america non si deve ritirare dalla Siria, anzi deve entrare nella trattativa per sistemare il Paese. Deve prendere le misure necessarie per
Gli iraniani La loro presenza in Siria è un problema: motivo in più per restare. E per non disdire l’accordo nucleare
proteggere quella parte della popolazione che sarebbe colpita da Assad se gli americani se ne andassero. Dobbiamo evitare altre stragi, anche se alla fine dovesse vincere il leader siriano».
Il presidente americano ha messo insieme una specie di gabinetto di guerra, con John Bolton consigliere per la Sicurezza nazionale e Mike Pompeo, prossimo segretario di Stato. È una squadra in grado di sviluppare la strategia che lei suggerisce?
«Difficile dirlo ora. Per il momento non si capisce quale sia la politica estera di Trump. Con la Russia bisognerebbe parlare in continuazione. Però vedo che il presidente vorrebbe risolvere tutto con un vertice diretto con Putin. E, invece, quello è il punto di arrivo di un processo che deve partire dai gradi più bassi, da un dialogo più quotidiano, più concreto. Registro con soddisfazione la posizione di James Mattis e del Pentagono che sta relativamente moderando le spinte troppo aggressive o isolazioniste di Trump e dei suoi consiglieri».
Quale dovrebbe essere il ruolo degli europei in questa fase? La Francia è disponibile a partecipare a un raid contro Assad…
«Gli alleati europei dovrebbero sicuramente essere coinvolti di più e non solo nella crisi siriana. Sarebbe molto utile una maggiore partecipazione dell’europa agli affari internazionali, non solo e non sempre sul piano militare. Gli Stati Uniti hanno bisogno di alleati capaci di dire dei “sì” e dei “no”. Questo, per altro, aiuterebbe a temperare, quando è il caso, le spinte più aggressive dell’america».
L’iran è davvero la minaccia numero uno per gli Stati Uniti?
«Abbiamo un accordo con l’iran sul nucleare e io lo manterrei e anzi lavorerei per estenderlo. Però certo la presenza dell’iran in Siria è un problema per gli Stati Uniti e naturalmente per Israele. Una ragione di più per restare in Siria e negoziare l’assetto futuro di quel Paese».