Trump alla «conta» degli alleati per l’attacco (e intanto medita di licenziare Mueller)
La Casa Bianca: «Il procuratore? Possiamo cacciarlo»
WASHINGTON Siria e Russiagate. L’atmosfera a Washington è sospesa. Donald Trump, fanno sapere dallo Studio Ovale «è concentrato sulla risposta all’attacco chimico in Siria». Ma nel frattempo, il Congresso vive un allarme bipartisan: Trump potrebbe licenziare il super procuratore Robert Mueller o il viceministro della Giustizia, Rod Rosenstein che lo ha nominato il 17 maggio 2017.
Sarah Sanders, portavoce della Casa Bianca, conferma che la questione è in agenda: «Il presidente crede di avere il potere di licenziare il super procuratore». I legali di Trump accusano Mueller di interpretare in maniera troppo estensiva il suo mandato, cioè verificare se nel 2016 ci fu collusione tra il comitato elettorale del candidato repubblicano e il Cremlino.
La giornata si è sviluppata su un doppio registro. I generali del Pentagono hanno illustrato le possibili «opzioni». Il cacciatorpediniere Donald Cook è quasi in posizione, al largo delle coste siriane. Un’altra unità, la Uss Porter, segnala il Wall Street Journal, arriverà in zona di tiro nel giro di pochi giorni: è la stessa nave che lo scorso anno lanciò 59 missili Tomahawk sulla base aerea di Al Shayrat.
Continua anche il lavoro di coordinamento con gli alleati. La Francia sembra «già a bordo» dicono a Washington. La Gran Bretagna potrebbe associarsi a un attacco congiunto. Perfino l’arabia Saudita si è detta pronta. Ieri John Sullivan, segretario di Stato a interim, in attesa dell’arrivo di Mike Pompeo, ha telefonato al ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, raccogliendo segnali di disponibilità.
Anche il Congresso appoggia a larga maggioranza l’idea di una spedizione punitiva contro Bashar al Assad. Anche se il suggerimento prevalente è quello di condurre «un attacco mirato», o «chirurgico», come dice il senatore repubblicano Bob Corker, per colpire le installazioni militari del regime.
Eppure c’è qualcosa che ancora non torna, come dimostrano le inaspettate dimissioni di Tom Bossert, il consigliere per la Sicurezza interna. Bossert, 43 anni, era sopravvissuto ai rivolgimenti interni dell’ultimo anno, occupandosi di disastri naturali, ma anche di cyber security. Domenica scorsa si era presentato davanti alle telecamere per spiegare la strategia della presidenza dopo l’attacco chimico attribuito a Bashar al Assad: «tutte le opzioni sono sul tavolo, compresa quella militare», aveva detto Bossert. Ma due giorni dopo eccolo sulla porta d’uscita. La spiegazione più quotata è che sia stato il nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton a metterlo fuori squadra. L’ex ambasciatore Onu ha preso possesso del suo ufficio lunedì 9 aprile e, a quanto pare, ha subito fatto capire di voler azzerare lo staff, sostituendolo con persone di sua stretta fiducia. È curioso, però, che tutto ciò accada proprio
Opzioni militari Francia, Gran Bretagna e Arabia Saudita sono pronte a partecipare Il Congresso appoggia
Il «giallo» Bossert
Il consigliere per la Sicurezza interna stava lavorando ai blitz. Ma ieri ha lasciato il posto
quando il presidente sta decidendo se ordinare o no lo strike contro Assad. È probabile, quindi, che la precipitosa estromissione di Bossert sia il risultato di un’aspra discussione nello Studio Ovale. Bossert è il sostenitore di una linea durissima contro la Russia e anche nella sua ultima apparizione televisiva, sempre domenica, ha insistito sulla necessità di «chiedere conto a Mosca» anche sul suo operato in Siria. Si capirà presto com’è andata. Basterà vedere quale sarà la decisione finale di Trump: raid solo contro Assad o misure punitive anche per i russi?
Il presidente, però, si è fatto sentire solo per commentare la perquisizione dell’fbi negli uffici di Michael Cohen, il suo avvocato personale, twittando: «È una vergogna, un attacco al Paese, una caccia alle streghe totale». Gli agenti federali cercavano le tracce dei pagamenti alla pornostar Stormy Daniels e all’ex modella di Playboy, Karen Mcdougal. Le due donne sostengono di aver avuto relazioni intime con «The Donald», nel 2006. Cohen nell’autunno del 2016 aveva versato assegni per 130 mila e 150 mila dollari, rispettivamente, per comprarne il silenzio.