UN FIGLIO BULLO (O VITTIMA) SU 7 I CONSIGLI AI GENITORI
Basta scuola, basta sport, basta feste o uscite con gli amici. Una vita sociale limitata e, allo stesso tempo, la crescita del numero di ore trascorse davanti ai videogiochi, immersi in una realtà virtuale. Poi l’arrivo improvviso di dolori o comuni malesseri che non trovano una spiegazione in esami clinici specifici. Questi sono solo alcuni dei campanelli d’allarme che ci aiutano a capire se nostro figlio subisce soprusi e violenze. Insomma, se è vittima di bullismo.
«Un’emergenza vera, quasi una malattia che coinvolge il 50% dei ragazzi che ha tra 11 e 17 anni», spiega il professor Luca Bernardo, fondatore nel 2008 del Centro nazionale per la prevenzione e il contrasto al bullismo e al cyberbullismo. Insieme a lui e ad altri tre esperti — Daniele Novara, pedagogista; Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva; e Sofia Bignamini, psicologa — abbiamo stilato un prontuario, pubblicato su 7 in edicola domani, per spiegare ai genitori quali sono i segnali che fanno capire se il proprio figlio è un bullo o una vittima. E, soprattutto, abbiamo chiesto come possiamo aiutare questi ragazzi, sia le vittime sia i bulli. Che non sono solo maschi: «Uno su sei è femmina», continua Bernardo. «Le definiamo api regine: si circondano di gregarie e, per prima cosa, escludono la vittima screditandola sia nel gruppo dei pari sia agli occhi degli adulti. Quindi attendono il momento per colpire e quando lo fanno aggrediscono anche fisicamente, con la volontà precisa di fare male».
Attenzione perché non è facile capire se il proprio figlio è un bullo: «Ascoltiamo gli adulti — insegnanti, allenatori, altri genitori — spesso sono loro ad aprirci gli occhi. Anche se alcuni segnali come la difficoltà nel gestire le proprie emozioni, soprattutto la rabbia, emergono già alle scuole materne o elementari», aggiunge Alberto Pellai.
Però attenti a non fraintendere: il bullo fa azioni ripetute ai danni di qualcuno intenzionalmente, questa la definizione data dallo studioso norvegese Dan Olweus. «E proprio questa intenzionalità non si può riscontrare in bambini sotto i 10 anni», spiega Daniele Novara. Anche se negli ultimi anni si è registrato un incremento di atteggiamenti ostili pure tra i più piccoli.
E una volta che abbiamo capito se nostro figlio è un bullo o una vittima: cosa possiamo fare? «In generale, cerchiamo prove inequivocabili, e se questo significa guardare il contenuto delle chat che i nostri figli hanno sul telefonino, facciamolo!», aggiunge Novara.
Per le vittime, creiamo un «momento cuscinetto» allontanandoli per un periodo limitato (non più di un mese) dal luogo dove è accaduto l’atto violento; quindi muoviamoci in accordo con nostro figlio trasmettendogli tutto il nostro amore.
Se invece ci rendiamo conto che nostro figlio è un bullo: teniamo aperto il dialogo, aiutiamolo a riorganizzare la sua vita, diamogli delle regole e, soprattutto, cerchiamo di capire perché l’ha fatto. «Spesso dietro questi comportamenti ci sono grandi frustrazioni», conclude Sofia Bignamini. Perché alla fine, sono vittime anche loro.
I segnali nascosti Come individuare i campanelli d’allarme Entrambi hanno bisogno di aiuto