Volkswagen cambia, Diess in pole per il vertice
Il ceo Müller verso l’addio. Venerdì la riunione del consiglio di Sorveglianza del gruppo
Ribaltone in vista al vertice di Volkswagen. Dopo il recente cambio alla guida di Deutsche Bank (con Christian Sewing amministratore delegato al posto dell’inglese John Cryan) anche la più grande casa automobilistica tedesca si appresta a una discontinuità al timone dell’azienda. Secondo quanto ha scritto ieri mattina la versione online del quotidiano tedesco Handelsblatt, citando fonti interne, starebbe volgendo al termine l’era di Matthias Müller al timone del gruppo che si è lasciato alle spalle lo scandalo Dieselgate. Gli subentrerebbe, ma il condizionale è d’obbligo, Herbert Diess, finora alla guida del marchio Volkswagen. L’artefice di una profonda ristrutturazione commerciale con un piano di riduzione dei costi che l’ha portato a un durissimo confronto con i sindacati, i cui rappresentanti siedono anche nel board. Ma non è escluso dalla partita il capo della divisione Camion del gruppo — per la quale il consiglio di Sorveglianza sta valutando uno spin off con relativa quotazione in Borsa — Andreas Renschler.
Con tutta probabilità bisognerà attendere la giornata di venerdì, quando si riunirà il Consiglio della casa automobilistica. Che potrebbe avallare anche un ricambio alla guida della controllata Porsche, che ha in plancia di comando Oliver Blume.
Müller, è considerazione unanime, ha guidato Volkswagen con grande efficacia. Dai giorni terribili del 2015 dello scandalo delle emissioni diesel, alterate con un software per restare al di sotto della soglia massima consentita dall’autorità ambientale Usa. Volkswagen ha poi patteggiato con il Dipartimento di giustizia americano. Pagando una multa di oltre quattro miliardi di euro per chiudere i contenziosi e risarcire la collettività per i danni ambientali provocati.
Dai giorni del dieselgate Volkswagen ha però mostrato una straordinaria capacità di resilienza. Suffragata dai dati record del 2017: oltre 10,7 milioni di veicoli venduti, considerando i marchi Volkswagen, Audi, Skoda, Seat, Porsche e i veicoli commerciali. Una lotta per il primato mondiale vinta al fotofinish con i giapponesi di Toyota (10,3 milioni di veicoli venduti) e — considerando anche quelli industriali — più dell’alleanza Renault/nissan/mitsubishi (10,61 milioni). Eppure non tutti sono rimasti contenti dalla gestione Müller, che in questi mesi si è detto stanco della resistenza dei confederali che gli ha impedito, ha confidato più volte ai suoi, di rovesciare il modello organizzativo di Volkswagen come auspicava. Müller pagherebbe così alcune divergenze di opinioni tra gli azionisti della casa automobilistica: le famiglie Porsche e Piech, i rappresentanti dei lavoratori, e i membri in Consiglio del Länder della Bassa Sassonia. Un esempio eclatante? La vendita della Ducati. Müller voleva valorizzarla, la proposta è stata bocciata in Consiglio.