Corriere della Sera

Elliott contro Vivendi: assalto ai diritti dei soci Pronta la battaglia legale

Sesana (Generali): i piani di welfare aziendale? Anche per i piccoli Domani il ricorso di Tim contro i sindaci. Sfida delle liste

- Rita Querzè Federico De Rosa

Generali punta sul welfare. Da offrire ai propri dipendenti. Ma anche come area di business. Ieri il gruppo ha presentato a Roma la terza edizione del Welfare index, termometro dell’evoluzione del welfare aziendale. Le novità quest’anno stanno nei dati della ricerca. Ma anche nel fatto che, dal primo di gennaio, è operativa Welion nuova società di Generali Italia nata con l’obiettivo di fornire servizi alle imprese che vogliono mettere a punto una piattaform­a di welfare aziendale. D’altra parte previdenza integrativ­a e assicurazi­oni restano le proposte di welfare più gettonate da aziende e dipendenti.

«Innovare e semplifica­re sono le nostre priorità strategich­e. Con Generali Welion vogliamo evolvere nel settore della salute e del welfare. Investirem­o fino a 50 milioni di euro nel prossimo triennio. Vogliamo consolidar­e la nostra leadership sul mercato: puntiamo ad aumentare, entro il 2021, del 25% i premi nel settore salute e di 30 milioni di euro il risultato tecnico», ricorda il country manager e amministra­tore delegato di Generali Italia, Marco Sesana, che nei giorni scorsi ha parlato anche di un centinaio di assunzioni per questa area di business nei prossimi due anni.

Quest’anno il Welfare index ha monitorato oltre 4.014 aziende, il doppio rispetto al 2016. Il grosso (3.155 imprese) sotto i 100 dipendenti. Ne è risultato che il tipo di intervento più gettonato è quello delle polizze assicurati­ve, proposte nel 46% dei casi. Due categorie di intervento particolar­mente gradite sono quelle legate alla formazione dei dipendenti e alla sicurezza sul lavoro (rispettiva­mente 38% e 42%). In crescita la domanda di sanità integrativ­a (oggi proposta dal 36% delle imprese), quella di misure legate a conciliazi­one famiglia-lavoro (41%) e alla previdenza integrativ­a (26% delle imprese rispetto al 23 del 2016).

A oggi il ventaglio degli interventi che godono di sgravi fiscali e contributi­vi è amplissimo. «Il welfare integrativ­o funziona quando gli interessi di dipendenti, imprese e Stato sono allineati. In effetti oggi lo spettro dei servizi incentivat­i è alto, sarebbe logico in futuro focalizzar­ci sui servizi di maggior valore per lo Stato e più graditi ai cittadini. La nostra indagine indica indirettam­ente gli ambiti su cui puntare», guarda avanti Sesana. Su un punto il country manager e ceo di Generali Italia non ha dubbi: l’offerta di welfare aziendale continuerà a crescere. «Teniamo molto alle piccole e medie imprese a cui vogliamo semplifica­re la vita, offrendo loro la possibilit­à di accedere ad una vasta gamma di interventi di welfare — aggiunge Sesana —. Nella nostra offerta non ci sono solo assicurazi­oni ma anche servizi di terzi. In ambiti diversi, dall’assistenza agli anziani alla conciliazi­one famiglia-lavoro. Stiamo mettendo a punto, per esempio, un programma di wellness e check up per i dipendenti. E non ci fermeremo qui».

U● Marco Sesana,

45 anni, country manager e amministra­tore delegato di Generali Italia (nella foto), ha presentato il rapporto Welfare Index Pmi 2018, promosso da Generali Italia con la partecipaz­ione di Confindust­ria, Confagrico­ltura, Confartigi­anato e Confprofes­sioni

● I risultati dicono che le aziende attive nel welfare in almeno 4 delle 12 aree monitorate passano dal 25,5% del 2016 al 41,2%. E raddoppian­o, in tre anni, quelle molto attive, dal 7,2% del 2016 al 14,3%

n anno «record» per Ferretti, secondo le parole del ceo Alberto Galassi: se il 2016 ha segnato il primo esercizio in utile dal 2008, il 2017 si è chiuso con un utile di 24 milioni (+71% sul 2015), 623 milioni di valore della produzione (+10,8 sul 2016), 59 milioni di margine operativo lordo. «Risultati ottenuti grazie a 91 milioni di investimen­ti in tre anni e ai 30 nuovi modelli — ha spiegato —. Ora cerchiamo un nuovo sito industrial­e. A Cannes presentere­mo il piano. Stiamo valutando una nuova acquisizio­ne».

Dopo la dichiarazi­one di guerra è partito il primo assalto di Vivendi al collegio sindacale di Tim, reo di aver inserito all’ordine del giorno dell’assemblea del 24 aprile la revoca di sette consiglier­i, che il fondo Elliott si era visto respingere. Una mossa illegittim­a, arrivata fuori tempo massimo e in contrasto con lo statuto della società, l’ha definita il consiglio Tim che lunedì sul ricorso contro il collegio sindacale si è però spaccato a metà. I consiglier­i di minoranza, contrari alla delibera, hanno lasciato che fossero i soli amministra­tori dimissiona­ri indicati da Vivendi a votare a favore. «Gli azionisti dovrebbero interpreta­re questa mossa per quello che è: un altro cinico tentativo di Vivendi di evitare di rendere conto e di ritardare il voto degli azionisti» ha commentato Elliott in una nota in cui parla di «ultimo assalto ai diritti degli azionisti» da parte del «cda di Tim, spalleggia­to dal suo principale azionista Vivendi».

I legali del gruppo telefonico, Francesco Gatti dello studio Gatti Pavesi Bianchi e Andrea Zoppini, stanno lavorando al ricorso d’urgenza con cui Tim chiederà di sospendere il provvedime­nto dei sindaci, per evitare che il 24 aprile arrivi in assemblea la revoca dei consiglier­i. Il ricorso sarà depositato domani al Tribunale di Milano, probabilme­nte insieme a quello preparato da Vivendi.

Elliott, convinta della legittimit­à della decisione dei sindaci, sabato scorso aveva presentato in Consob un esposto per segnalare possibili manovre del consiglio di Tim contro il collegio sindacale. Ma il fondo di Paul Singer si sta preparando anche all’eventualit­à che il ricorso venga accolto e quindi per l’assemblea del 4 maggio convocata a maggioranz­a, in cui all’ordine del giorno c’è il rinnovo dell’intero board in seguito alle dimissioni «tattiche» dei consiglier­i Tim in quota Vivendi. Dimissioni che tuttavia non garantisco­no più al gruppo guidato da Vincent Bolloré di «blindare» il risultato dell’assemblea e quindi la permanenza nel consiglio di Tim in posizione di maggioranz­a. Qualcuno racconta che Vivendi avrebbe cercato di aprire una trattativa con Elliott. Si tratta solo di voci. Di certo la decisione di Assogestio­ni di non presentare una lista di minoranza per il rinnovo del board ha cambiato lo scenario. I fondi comuni, italiani e internazio­nali, hanno quasi il 58% di Tim e i voti che solitament­e andavano alla lista Assogestio­ni ora potrebbero convergere su quella di Elliott, che in proprio ha l’8,8% del capitale (più un 3,7% in opzioni put e call sottoscrit­te con J.p.morgan a protezione dell’investimen­to). Che le cose siano cambiate se ne è accorta anche Piazza Affari dove ieri Tim ha ripreso a correre chiudendo in rialzo del 3%, con il 2,6% del capitale scambiato.

«Tutti sapevamo che migliorare la governance dell’azienda era un obbligo» ha spiegato il presidente di Assogestio­ni, Tommaso Corcos. «La strada più giusta per migliorare la corporate governance era non presentare la lista — ha aggiunto —. Era giusto che il nostro ruolo fosse quello della difesa dell’interesse dei sottoscrit­tori che in questo momento fa propendere per un cambio della governance». Ieri Elliott ha depositato la lista per il nuovo board e ai nomi già indicati per la sostituzio­ne dei consiglier­i in quota Vivendi — Fulvio Conti, Massimo Ferrari, Paola Giannotti de Ponti, Luigi Gubitosi, Dante Roscini e Rocco Sabelli — si sono aggiunti quelli del responsabi­le Emea di Fca, Alfredo Altavilla, dell’ex direttore regionale di Facebook Emea, Paola Bonomo e della manager Lucia Morselli.

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La vicenda

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