Corriere della Sera

Il reporter che creò quattro Stati

L’inviato del «Daily News» innescò una reazione a catena che trasformò la mappa dei Balcani Nel 1876 Macgahan scosse il mondo rivelando i crimini turchi in Bulgaria

- di Gian Antonio Stella

«C’erano testoline ricciolute in quella massa in putrefazio­ne, schiacciat­e da pietre pesanti, piedini non più lunghi del dito di una mano, sui quali la carne era stata seccata dal caldo ardente prima che avesse il tempo di decomporsi; manine tese come a chiedere aiuto; neonati che erano morti sorpresi dall’intenso luccichio delle sciabole e degli occhi rossi degli uomini dallo sguardo feroce che le brandivano…». Il reportage sul «Daily News» di Januarius Aloysius Macgahan dal villaggio di Batak, 150 chilometri a sud di Sofia, piombò in faccia al primo ministro inglese Benjamin Disraeli come una scudisciat­a. E da lì incendiò la Gran Bretagna, la Russia e l’europa. Era il 2 agosto 1876. E quel reportage, racconterà David Randall nell’appassiona­nte Tredici giornalist­i quasi perfetti, edito da Laterza, fu «il più grande pezzo di giornalism­o di tutti i tempi».

Ci chiediamo in questi giorni: riuscirann­o le foto dei bambini asfissiati in Siria a scuotere il mondo? Riuscirann­o il piccino con la maschera antigas e le creature avvolte nei fagotti bianchi a risvegliar­e troppe coscienze intorpidit­e? Januarius, un secolo e mezzo fa, ci riuscì: «Svelò un genocidio, dimostrò che due governi mentivano sistematic­amente, suscitò un’ondata d’indignazio­ne che, spazzando il mondo civilizzat­o, portò a dichiarare una guerra, a ridisegnar­e la mappa dell’europa, a creare quattro nuovi Paesi», cioè la Bulgaria, la Serbia, il Montenegro e la Romania, «e a segnare la sconfitta elettorale di un primo ministro britannico. Nessun altro singolo pezzo di giornalism­o gli si avvicina per i suoi effetti».

Negava da settimane, il premier. E sfidava collerico i giornali che avevano osato raccoglier­e voci di una repression­e sanguinari­a, da parte degli «amici turchi», dei focolai di insurrezio­ne in Bulgaria. Macché massacri! Come potevano i giornali «irresponsa­bili» diffondere «chiacchier­icci da caffè»? Il «Daily», poi!

E fu così che, messo alle strette dal governo, il «Daily News» non vide altra scelta che dimostrare che le mattanze c’erano state davvero. Bisognava arrivare nel cuore dei Balcani, violare i confini, sfuggire ai pattugliam­enti turchi… «Chi mandiamo?», si chiesero. Poteva riuscirci solo lui, Macgahan, un giovanotto dalla barba bionda, nato a New Lexington, in Ohio, 32 anni prima, figlio d’un ex marinaio irlandese che aveva preso parte giovanissi­mo al viaggio che aveva deportato Napoleone a Sant’elena.

Rimasto orfano troppo presto, cresciuto lavorando nei campi d’estate e studiando d’inverno, intelligen­za scintillan­te, promosso quindicenn­e a fare il maestro ad altri nell’illinois, deciso a diventare avvocato, appena trasferito a Saint Louis fu preso a ben volere dal generale Philip Sheridan. Il quale, colpito dalla rapidità con cui il ragazzo si era impadronit­o da autodidatt­a del francese e del tedesco, lo spinse a studiare in Europa. A Bruxelles. Per poi suggerire al «New York Herald» di affidargli dei servizi sulla guerra appena scoppiata tra Napoleone III e Guglielmo di Prussia. Fu così che, come ha ricostruit­o Nicola Attadio, raccontò la disfatta di Sedan, la resistenza di Léon Gambetta, il caos della Comune di Parigi, quando rischiò di essere fucilato con l’accusa d’essere comunista. Dirà il più celebre reporter britannico dell’epoca, Archibald Forbes: «Di tutti quelli che si son fatti la reputazion­e di corrispond­enti di guerra, Macgahan è il più brillante».

Coraggioso, rapido, infaticabi­le, saltò per anni da San Pietroburg­o a Londra, da Cuba al Caucaso, dall’assolata Spagna alle gelide acque dell’artico, che cercò di solcare spavaldo nonostante la nave di legno venisse serrata sempre più nella morsa dei ghiacci. Per non dire di quando, deciso a raggiunger­e una spedizione di truppe zariste nel Turkestan, sfidò tutti i divieti e la morte in una pazza cavalcata nelle steppe di quasi mille miglia coi cosacchi alle calcagna. Nella scelta su chi mandare, insomma, al «Daily News» non potevano avere dubbi. E Januarius, che si guadagnerà la fama di eroe della Bulgaria, fu all’altezza: «Partì ai primi di luglio e il 23 del mese era sul posto per indagare e intervista­re centinaia di sopravviss­uti», scrive Randall. «Quel che scoprì andava oltre l’immaginazi­one». Il 28 luglio, a dispetto delle difficoltà per spostarsi e trasmetter­e, dettava la prima conferma: «Penso di essere arrivato in una disposizio­ne d’animo equa e imparziale (…) temo di non essere più imparziale, e certamente non sono più distaccato». Notizie secche come fucilate: «Sono stati bruciati 60 o 70 villaggi, (…) sono state massacrate intorno alle 15.000 persone, in larga parte donne e bambini».

Fermò il fiato al mondo intero il reportage da un borgo chiamato Batak: «All’improvviso tirammo le redini (…) perché proprio davanti a noi, quasi sotto gli zoccoli dei nostri cavalli, una vista ci fece rabbrividi­re. Era un cumulo di teschi, frammisti a ossa di tutte le parti del corpo umano, scheletri quasi interi e in putrefazio­ne, vestiti, capelli umani e carne putrida giacevano lì in un ammasso nauseante. (…) Osservammo che erano tutti piccoli…». Ecco la scuola: «A giudicare dalle mura che in parte sono ancora in piedi, era una grande e bella costruzion­e capace di accogliere 200 o 300 bambini. Sotto le pietre e i rifiuti che coprono il pavimento per un’altezza di diversi centimetri, ci sono le ossa e le ceneri di 200 donne e bambini, bruciati vivi tra queste quattro mura». Ecco la chiesa: «Entrammo (…) ma qui l’odore

Manine tese come a chiedere aiuto, neonati che erano morti sorpresi dall’intenso luccichio delle lame

Sono bruciati stati 70 villaggi, sono state massacrate circa 15 mila persone, in larga parte donne e bambini

Apparve un cumulo di teschi, frammisti a ossa di ogni tipo, vestiti, capelli umani e carne putrida

divenne così cattivo che era quasi impossibil­e andare avanti. Prendiamo una manciata di tabacco e lo teniamo contro i nostri nasi…». È lì dietro, nel piccolo cimitero, che Macgahan trova lo spaventoso ammasso di «testoline ricciolute».

Tutto intorno, il silenzio: «Non ci sono lacrime né grida, né pianti, né urla di terrore, né preghiere di misericord­ia. I raccolti marciscono nei campi e i mietitori marciscono qui nel cimitero». Più in là, «i corpi di 200 ragazzine» che «erano state nelle mani dei loro aguzzini per parecchi giorni» e «avevano sofferto tutto quello che ragazze povere, deboli e tremanti potevano soffrire». Dopo esser state violate, «furono portate alla piena luce del giorno, sotto la sorridente volta del cielo, e decapitate a sangue freddo».

Quelle cronache, avrebbe scritto lo storico Edwin Pears, «colpirono l’opinione pubblica britannica come un fulmine». Scatenando l’effetto a catena. Forse fu tutto merito di quel leggendari­o giornalist­a (stroncato due anni più tardi dal tifo dopo aver seguito la guerra russo-turca con un piede ingessato!), che era capace come nessuno di toccare il cuore delle persone. O forse fu merito delle persone, ancora capaci di provare sdegno e dolore.

 ??  ?? Il massacro di Batak (1889), un dipinto dell’artista e patriota bulgaro Antoni Piotrowski (1853-1924) sui crimini perpetrati dai dominatori turchi nel suo Paese
Il massacro di Batak (1889), un dipinto dell’artista e patriota bulgaro Antoni Piotrowski (1853-1924) sui crimini perpetrati dai dominatori turchi nel suo Paese

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