Corriere della Sera

Everett: con Oscar Wilde racconto l’orgoglio gay e la passione per l’arte

- Stefania Ulivi

ROMA «Ho messo tutto me stesso in questo film». Rupert Everett non esagera: per dieci anni ha coltivato il progetto The Happy prince. L’ultimo ritratto di Oscar Wilde, suo esordio alla regia, in uscita domani per Vision. Lo ha scritto («su misura per me»), custodito, ha cercato soldi e partner produttivi (per l’italia Palomar). E, finalmente, lo ha diretto e interpreta­to. Wilde l’ha scoperto presto, la madre gli leggeva Il principe felice. «E da giovane adulto mi ha ispirato. L’omosessual­ità in Gran Bretagna è legale solo dal 1967, mi è sembrato di ripercorre­re le orme di Wilde». Riabilitat­o solo nel 2017.

Everett non ne fa un’icona. Lui stesso non ama essere considerat­o un simbolo per il coming out che gli chiuse le porte di Hollywood («il cinema è un club per maschi etero, il cambiament­o c’è ma è lento»). The happy prince, spiega, «è il racconto degli ultimi mesi di Wilde, romantici e terribili, alla fine del XIX secolo». Dopo i due anni ai lavori forzati seguiti al processo per sodomia, alle prese con miserie, malinconie e rimpianti, continuand­o a perseguire un’idea di arte totale, senza distinzion­e dalla vita. Costellata da uomini e donne. La moglie Costance (Emily Watson), l’amico Reggie Turner (Colin Firth), l’amante Lord Alfred Douglas detto Bosie (Colin Morgan). E il devoto Robbie Ross (Edwin Thomas). Il film — che il neoregista porterà al pubblico degli Incontri di Sorrento il 21 aprile — è anche politico. «Oggi i gay sono perseguita­ti in molti Paesi. E anche in Italia e Gran Bretagna, con forze populiste come Ukip e Lega, c’è un’ondata di omofobia».

Ma il cuore del film — girato col pensiero a Morte a Venezia di Visconti — è il Wilde di Everett. Un’adesione totale la sua. «È un genio artistico, un outsider, una star caduta che non perde l’umorismo». Un uomo «che è stato crocifisso in quanto gay e ha scelto di non sottrarsi al carcere. Istinto di autodistru­zione, ma anche un’opportunit­à per rinascere in senso cristiano. La Chiesa cattolica dovrebbe leggere il suo De profundis». Il consiglio arriva da un grande ammiratore di papa Francesco. Nonché Inquisitor­e. Sta girando la serie Il nome della rosa, è Bernardo Gui. «Uno che i gay li mandava al rogo».

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Allo specchio Rupert Everett, 58 anni

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