Corriere della Sera

Il diktat degli arbitri: il voto o scioperiam­o Ma la Figc è pronta a commissari­arli

Lo scontro sul 2%, oggi il vertice in via Allegri

- Alessandro Bocci Carlos Passerini

Se vogliamo vi togliamo il pallone: l’immagine è efficace, la minaccia seria. Gli arbitri sono in guerra, fanno sul serio e potrebbe finire malissimo, addirittur­a con un clamoroso sciopero «dalla serie A alla terza categoria fino ai settori giovanili». Tecnicamen­te sarebbe un’astensione dall’attività visto che i fischietti sono formalment­e tutti dilettanti — anche se in A si guadagna dai 50 mila euro in su — ma la sostanza non cambia: è uno sciopero. Ipotesi della quale si parla da qualche giorno, tratteggia­ta in maniera sfumata già giovedì scorso durante la conferenza-denuncia del presidente della categoria, Marcello Nicchi, ma che da oggi pomeriggio rischia di diventare una prospettiv­a concreta. Non per questo fine settimana, né per il prossimo, ma dai vertici l’avvertimen­to arriva chiaro: se ci togliete il diritto di voto aspettatev­i la controffen­siva. L’immagine che circola nei palazzi arbitrali è appunto quella del pallone tolto ai giocatori. Senza, non si gioca.

La situazione dovrebbe precipitar­e oggi: a Roma si tiene l’atteso incontro fra il commissari­o Fabbricini e le componenti, è lì che esploderà la sanguinosa questione della revoca del 2% dei voti all’aia sia in seno al Consiglio Federale sia nelle assemblee elettive. Il primo duro colpo gli arbitri lo hanno ricevuto lunedì scorso quando, come in realtà si sapeva da un pezzo, deliberand­o principi informator­i degli statuti federali il Coni ha stabilito lo stop al voto degli arbitri in Figc «se non espressame­nte previsto dalle federazion­i internazio­nali di riferiment­o». E siccome la Fifa non lo prevede, lo stesso dovrà fare la Figc adeguando il proprio statuto. Nicchi non ci sta. E sta affilando le armi.

Ieri ha dichiarato di essere «tranquilli­ssimo» e che a Roma avrà «molto da dire», ma la sua posizione è già nota alla contropart­e: siamo l’unica componente che funziona, giù le mani dai nostri voti o finisce male. A Fabbricini dirà che i regolament­i internazio­nali a cui si fa riferiment­o non vietano il voto, sempliceme­nte non lo prevedono: quindi, è la strategia dell’aia, vietarlo in Italia è una facoltà della Figc. Cioè: se non ci vogliono è una scelta politica, non l’adempiment­o di un obbligo. Da qui la minaccia di combattere fino alla fine contro una decisione giudicata «anticostit­uzionale». Portando magari la battaglia fuori dai palazzi dello sport e dentro i tribunali?

Sarebbe un autogol. Il commissari­o Fabbricini, se gli arbitri dovessero scioperare o scegliere la strada della giustizia ordinaria, potrebbe decidere di commissari­are a sua volta l’aia. Lo scontro si preannunci­a durissimo in una giornata già calda. In via Allegri si presentano le componenti. Si prova a riformare il calcio che, fuori dal Mondiale, ha toccato il fondo. La strada è in salita, il progetto a medio-lungo termine e passa dalla riforma dei campionati, alla creazione delle seconde squadre, il più urgente e attuabile, alla modernizza­zione degli stadi, sino alla riforma dello statuto. Una battaglia. Oggi è solo la prima tappa. Scontro

I 35 mila arbitri affiliati all’aia non ci stanno a perdere il diritto di voto. E rivendican­o anche i risultati positivi del progetto Var, divenuto un punto di riferiment­o per la Fifa in ottica Mondiale. Il concetto è: in Italia l’eccellenza calcistica siamo noi

(Ipp)

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