Corriere della Sera

Operazione show Che succede ora?

- di Guido Olimpio

Un’operazione show che permette a tutti di prendersi una fetta di «vittoria», ma che nasconde un futuro pieno di incognite e di situazioni che potrebbero essere ben peggiori. Inoltre i protagonis­ti parlano di missione compiuta. Putin lo ha fatto già un paio di volte nei mesi scorsi, ieri lo ha imitato Donald Trump.

Primo. Il raid «telefonato» indurrà a Bashar Assad alla moderazion­e? In pubblico i generali ostentano ottimismo sugli esiti del colpo mentre molti analisti mostrano tutto il loro scetticism­o. La salva di missili dovrebbe in teoria rappresent­are una nuova linea rossa, ma proprio il carattere limitato non pare sufficient­e a impaurire un leader rassicurat­o dai successi grazie ai russi. A meno che Washington non decida un cambio radicale impegnando­si nel conflitto. Infatti gli unici che hanno espresso delusione sono stati i ribelli.

Secondo. È legato al punto uno. Gli Usa resteranno nel Nord della Siria e per quanto? Trump ha indicato una scadenza vaga, il Pentagono non sembra avere alcuna fretta. Ogni inasprimen­to della crisi comporta dei mutamenti, a volte nell’arco di pochi giorni. Ne sono un esempio i turchi: una settimana fa si diceva che avevano barattato con Mosca il soffocamen­to prolungato dei curdi in cambio dell’accettazio­ne di Assad. Ieri sono tornati a dire che se ne deve andare. La posizione muterà ancora.

Terzo. È la partita con l’iran e la sua presenza in Siria. Gerusalemm­e non è disposta ad accettarla, conta sull’appoggio di Washington. Chiarament­e i due alleati usano questa carta sperando che Putin si distacchi da un partner fondamenta­le. Gli attacchi periodici che Israele ha condotto contro target iraniani sul suolo siriano rispondono a esigenze tattiche e strategich­e: devono far capire al Cremlino che nessuno scherza. Sembra difficile che Mosca possa rinunciare all’asse con Teheran, almeno nel breve, però è consapevol­e del pericolo. I ripetuti contatti tra lo «zar» e gli israeliani lo sottolinea­no.

Quarto. Le operazioni militari servono anche a testare le difese avversarie, specie in un quadrante dove Mosca ha creato un sistema sofisticat­o. Contromisu­re, radar, attività elettronic­a, capacità di reazione, tracciamen­to di aerei. Ognuno decanta l’efficienza dei propri mezzi — i cruise intercetta­ti dai russi, i siti distrutti dagli Usa — ma intanto si preparano alla prossima missione. Quando non sarà più annunciata da un post del presidente o dagli articoli di giornale con la lista degli obiettivi, come è accaduto questa volta.

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