Corriere della Sera

«Nessuno vuole una vera guerra»

- di Massimo Gaggi

«Con l’attacco missilisti­co Donald Trump e i suoi alleati mandano un messaggio forte a Vladimir Putin e alla leadership iraniana, oltre che ad Assad. Ma l’aggravamen­to della crisi in Siria è anche frutto dell’atteggiame­nto ondivago degli Stati Uniti, dei vuoti lasciati in quell’area: le armi chimiche sono state usate alle porte di Damasco subito dopo l’annuncio del ritiro americano».

Celebre analista di affari internazio­nali, autore di ben 18 libri, ma anche giornalist­a che ha seguito sul campo tutti i conflitti degli ultimi decenni, dai Balcani all’africa, passando per Iraq e Afghanista­n, Robert Kaplan non è affatto impression­ato dai «venti di guerra» in Medio Oriente.

Non la colpisce nemmeno l’uso di armi chimiche da parte di Assad e l’appoggio che il Cremlino continua a garantirgl­i? O pensa anche lei che siano fake news?

«L’uso dei gas è un crimine da condannare, ovvio. Ma Trump, annunciand­o il ritiro, ha mandato un segnale interpreta­to da Assad come un semaforo verde: via libera all’eliminazio­ne delle ultime sacche di resistenza che ancora minacciano il suo regime. Putin ha le sue responsabi­lità, ma nella partita siriana è stato, in realtà, abbastanza prudente. Nonostante Damasco sia stata nell’orbita d’influenza russa fin dai tempi dell’urss, dalla metà degli anni Sessanta, il Cremlino non è intervenut­o in Siria fino a quando non si è convinto che Barack Obama non aveva alcuna intenzione di impegnarsi in quell’area. E anche nello scontro attuale è evidente che si punta a una guerra solo di parole».

Cosa la porta ad escludere che ci siano grossi pericoli in vista?

«L’attacco americano è stato concepito in modo da minimizzar­e il rischio di una rappresagl­ia russa. La volontà di evitare un allargamen­to del conflitto è forte tanto a Mosca quanto a Washington. Questo è stato un attacco molto limitato: preciso, di entità contenuta, preannunci­ato. Il messaggio inviato è il monito ad Assad e a ogni dittatore a non usare armi di distruzion­e di massa, non è il preannunci­o di un allargamen­to del conflitto. Gli Usa e i suoi alleati non stanno dicendo che faranno la guerra: dicono solo che chi usa armi chimiche deve aspettarsi risposte militari che gli causeranno danni e perdite superiori a quelle da lui inflitte usando questi ordigni».

Continuerà l’espansione dell’influenza russa nel Mediterran­eo oltre l’egitto?

«Gli Stati Uniti sicurament­e pagano il loro caos diplomatic­o: la Russia ha una strategia precisa. L’iran anche e pure Israele. L’america non ne ha nessuna: vaga dal disimpegno

L’uso dei gas «Assad ha letto le parole di Trump sul ritiro come via libera a eliminare le ultime resistenze»

di un giorno all’attacco militare del giorno dopo. Detto questo, il credito di cui gode Putin in Medio Oriente è legato a come ha difeso Assad: colpendo il dittatore di Damasco si mette sulla difensiva anche il Cremlino. Le ambizioni più pericolose nell’area, però, non sono quelle russe, ma quelle di Teheran che sogna un’egemonia imperiale dall’iran fino al Mediterran­eo. Eccessivo e pericoloso: prima o poi Putin si troverà in conflitto con l’alleato iraniano».

Il radicale Bolton al posto di un moderato, il generale Mcmaster, a fianco di Trump. Di nuovo la retorica di «Mission Accomplish­ed»,

come nelle guerre di Bush. Non la spaventa?

«Bolton è di certo più estremista, ma, per le sue competenze, penso si occuperà soprattutt­o della questione coreana mentre il Medio Oriente rimarrà terreno per il capo del Pentagono: il generale Mattis è uomo di grandi capacità analitiche, un realista moderato. Ed è il più profondo conoscitor­e di quell’area per l’attività svolta lì da militare».

Cosa la colpisce di più di questo conflitto, a confronto con quelli che ha seguito in passato?

«L’effetto di cyberdisru­ption informativ­a. Campagne di disinforma­zione sull’andamento di un conflitto ce ne sono sempre state. Fin dalla Prima Guerra Mondiale. Ma non si era mai visto nulla dell’intensità dei giorni nostri: i media fanno ormai parte del fronte di guerra. Prevalere nella battaglia dell’informazio­ne diventa quasi più importante di una vittoria sul campo».

 ??  ?? Il presidente e il sindaco Vladimir Putin, 65 anni, fotografat­o ieri con il sindaco di Mosca Sergej Sobyanin, 59
Il presidente e il sindaco Vladimir Putin, 65 anni, fotografat­o ieri con il sindaco di Mosca Sergej Sobyanin, 59
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Chi è ● Robert D. Kaplan, giornalist­a e analista, oggi è al Center for a New American Security. Ha scritto molti bestseller sulla politica internazio­nale

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