L’«ATMOTERRORISMO», UNA SCELTA PER ANNIENTARE
Èvero che non sono solo le armi chimiche ad uccidere in Siria. L’impatto di quelle convenzionali è altrettanto devastante. Per tacere delle innumerevoli violazioni del diritto internazionale — assedi della popolazione civile, distruzione di ospedali e scuole — che hanno segnato un conflitto interno assurto in breve a guerra globale. Come dimenticare quel che è avvenuto a Homs, a Daraya e Aleppo?
Ma è pur vero che l’uso di sostanze tossiche, a cui hanno fatto ricorso sia il governo siriano sia i jihadisti, provoca sconcerto e sembra perciò accendere quel barlume di coscienza che resta nell’opinione pubblica internazionale, altrimenti sopita e anestetizzata. Ed ecco, dopo l’attacco che lo scorso 7 aprile ha colpito Douma, la città nella regione ribelle di Ghouta, le immagini di donne che si dibattono per non morire di asfissia interna, di bambini che annaspano smarriti, come se fossero in un universo alieno.
L’uso delle armi chimiche rappresenta uno spartiacque etico e politico per diversi motivi. Il primo è la manipolazione dell’aria che ha messo per sempre fine al privilegio di respirare spontaneamente. Non si prendono più di mira i «nemici», ma si punta piuttosto all’atmosfera. Senza precedenti è, dunque, l’attacco all’ambiente. L’atmoterrorismo è un’invenzione recente nella storia umana. Risale al ventesimo secolo. C’è una data precisa: il 22 aprile 1915. A Ypres, nel pieno del primo conflitto mondiale, un vento favorevole, che si muoveva dal fronte tedesco verso le linee francocanadesi, spinse le nuvole di gas clorato fuoriuscito da oltre 5.700 bottiglie. La causa scatenante era l’irraggiungibilità dei soldati, nascosti dietro le trincee. Le lancette della storia segnarono l’inizio dello sterminismo.
Da quel momento, malgrado i ripetuti divieti, si è andato diffondendo l’impiego di gas e veleni, mentre si è sviluppata e affinata la scienza delle nubi tossiche. Con il suo potenziale distruttivo la tecnica ha contribuito a squassare la cornice bellica tradizionale, moltiplicando la violenza indiscriminata contro i civili. La libertà
assoluta di sterminare, sciolta da ogni vincolo, si è andata scatenando al di là di ogni fronte. L’altro non è più neppure un nemico, ma solo un ente da eliminare. Non si tratta di sconfiggerlo, prenderlo prigioniero, appropriasi della sua libertà; piuttosto si tratta di liberare l’ambiente dall’altro e dalla sua libertà. La storia dell’atmoterrorismo, che vanta apici come l’uso dell’acido cianidrico nelle officine hitleriane, non è dunque conclusa.
Tutto questo non può non inquietare profondamente. Tanto più che il terrorismo recente, statuale o non statuale, ha raggiunto risultati ulteriori nella capacità di aggredire la bioatmosfera. Basta poco e gli esiti sono smisurati. Si prende di mira non il corpo dell’altro, bensì l’ambiente, dove l’esistenza diventa impossibile. A nulla serve la difesa immunitaria. Ma c’è di più: la latenza degli effetti che rende invisibile l’aggressione. È quel che avviene in questi giorni. L’attacco alle funzioni vitali, dalla respirazione al sistema nervoso centrale, fa sì che apparentemente sia l’altro a cadere sotto il suo stesso impulso — ad esempio l’impulso naturale a respirare. La responsabilità si frantuma, diventa anonima. Chi sarà mai stato? Dove sarebbero le prove? In questa nuova forma di violenza bellica globale, che si è lasciata alle spalle ogni guerra tradizionale, vincere vuol dire annientare l’altro. E l’annientamento subdolo si accompagna sempre alla negazione preventiva. Dovremmo allora credere che i bambini di Ghouta si autoannientano respirando.